Immaginiamo la scena. Da una parte la ricercatrice Cora Thiel, che all’Istituto di Anatomia dell’Università di Zurigo si occupa specificamente di biologia gravitazionale, ovvero di come la gravità determini l’architettura e le funzioni delle cellule umane. Dall’altra parte Oliver Ullrich, responsabile delle ricerche in biologia cellulare dello stesso Istituto. Di fronte a loro, la fusoliera del razzo TEXUS-49 del centro aerospaziale tedesco DLR, uno dei tanti velivoli che nella sua carriera Ullrich ha caricato di strumenti per avere a disposizione, grazie al volo parabolico, una manciata di minuti in condizioni di microgravità, durante i quali compiere gli esperimenti di biologia. In questo caso, sull’espressione genica delle cellule umane. Thiel e Ullrich hanno a disposizione il razzo e maneggiano quotidianamente del DNA umano: perché non approfittare e provare a verificare se dei plasmidi, delle catene dense e corte di DNA, resistono a un viaggio spaziale, per quanto breve?
Detto, fatto: prima del lancio del TEXUS-49, nel marzo 2011, i due “spennellano” un po’ di DNA in 15 punti diversi sul rivestimento esterno del missile, per poi analizzare gli stessi punti al rientro a Terra della missione. Missione che, per ottenere i 6 minuti in microgravità necessari ai quattro esperimenti a bordo, raggiunge una quota di 264 km, facendo registrare al rientro una temperatura di oltre 1000 gradi sulla parte esterna della fusoliera. Con grande sorpresa, i due ricercatori non solo trovano ancora un certo numero di molecole di DNA nei punti in cui l’avevano applicato, ma il DNA recuperato risulta per la maggior parte ancora in grado di replicarsi e trasferire informazioni genetiche a batteri e cellule di tessuto connettivo.
Il gruppo di ricerca coinvolto nell’insolito esperimento ne presenta i risultati al 63° Congresso Astronautico Internazionale a Napoli nel 2012. “Siamo rimasti completamente sorpresi di trovare così tanto DNA intatto e funzionalmente attivo”, ricorda Thiel. “Questo studio fornisce un’evidenza sperimentale che le informazioni genetiche del DNA possono sopravvivere alle estreme condizioni dello spazio e del rientro nell’atmosfera terrestre”, commenta Ullrich ora per allora.
Successivamente, i ricercatori hanno approntato una nuova piccola missione, denominata DARE (DNA atmospheric re-entry experiment), con lo scopo di confermare i risultati ottenuti – quasi per caso – con il precedente volo. I risultati di questa seconda campagna sono ora pubblicati sulla rivista PLoS ONE in uno studio che riconduce la resistenza alle condizioni spaziali dei filamenti di DNA alla categoria più generale dei biomarcatori (biosignatures). “I biomarcatori sono molecole che possono dimostrare l’esistenza passata o presente di vita extraterrestre”, spiega Thiel. Diversi ricercatori sono convinti che, a parte essere stato eventualmente portato sulla Terra da comete o asteroidi in passato, il DNA potrebbe infatti letteralmente pioverci in testa tutt’oggi, all’interno delle tonnellate di meteoriti che quotidianamente investono il nostro pianeta.
La straordinaria stabilità del DNA in condizioni di spazio rilevata dagli studiosi dell’Università di Zurigo è un elemento che deve, secondo gli stessi ricercatori, essere preso in considerazione nella ricerca di vita extraterrestre: “I risultati dimostrano che non è affatto improbabile che, nonostante tutte le precauzioni che vengono normalmente prese, le navi spaziali possano anche trasportare DNA terrestre sul loro sito di atterraggio. Abbiamo bisogno di avere tutto sotto controllo nella ricerca di vita extraterrestre”, conclude perentoriamente Ullrich. E così, anche la superficie delle navicelle spaziali può diventare una sorta di… scena del crimine.
Video: Il razzo scientifico TEXUS-49 e il suo lancio dallo Esrange Space Center vicino Kiruna, nella Svezia settentrionale, il 29 marzo 2011
https://www.youtube.com/watch?v=jXFxOKxH-fA
Referenze:
- Cora S. Thiel, Svantje Tauber, Andreas Schütte, Burkhard Schmitz, Harald Nuesse, Ralf Möller, Oliver Ullrich. Functional Activity of Plasmid DNA after Entry into the Atmosphere of Earth Investigated by a New Biomarker Stability Assay for Ballistic Spaceflight Experiments. PLoS ONE. November 26, 2014. doi:10.1371/journal.pone.0112979