C’è il contributo di Paolo Molaro, astrofisico dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Trieste, sull’edizione 2014 della prestigiosa rivista Review of Particle Physics. Si tratta di una approfondita rassegna critica dello stato attuale della nucleosintesi cosmologica, cioè del processo che dalla fusione dei protoni e neutroni di cui era formato il “brodo primordiale” ha portato alla formazione dei primi elementi chimici nei primi 3 minuti di vita del nostro Universo, condotta con Brian Fields, direttore del Dipartimento di Astrofisica dell’lllinois, e Subir Sarkar di Oxford.
L’articolo è disponibile anche online per tutti. La Particle Physics Review iniziata nel 1957 da Murray Gell-Mann, premio Nobel per la fisica nel 1969, riassume con scadenza biennale le attuali conoscenze della cosmologia e della fisica delle particelle elementari. Diverse centinaia gli autori di tutto il mondo, tra cui diversi premi Nobel, contribuiscono ai 112 articoli del numero di quest’anno e tra loro Paolo Molaro, che è uno dei pochissimi italiani e unico tra gli astrofisici.
La teoria cosmologica attuale prevede che solo alcuni elementi si siano formati nelle prime fasi dell’espansione dell’Universo, mentre il resto degli elementi si sarebbe prodotto successivamente nelle stelle. L’elemento primordiale più semplice e abbondante è l’idrogeno, mentre gli altri elementi, detti di nucleosintesi cosmologica, sono il deuterio, un isotopo dell’idrogeno formato da un protone e un neutrone, l’elio e il suo isotopo elio-3, e il Litio.
«Molti probabilmente non sospettano minimamente di essere circondati da atomi che si sono formati nei primi minuti di vita dell’universo ben 13.8 miliardi di anni fa» commenta Paolo Molaro «come il litio nelle batterie dei nostri cellulari e il deuterio presente nel mare».
Oggi gli astronomi misurano l’abbondanza di questi elementi primordiali nell’ Universo più remoto e nelle stelle più antiche ed è proprio l’accordo tra le quantità misurate e quelle previste che fa della nucleosintesi primordiale uno dei pilastri della teoria del Big Bang.
Questo confronto tra teoria e osservazioni permette di “pesare” la componente dell’Universo fatta di atomi, o più correttamente di misurarne la massa. Questa misura può essere messa in relazione con la stima della stessa quantità ottenuta dalle anisotropie della Radiazione Cosmica di Fondo osservate dal satellite Planck. Le due misure della massa dell’Universo sono completamente indipendenti e relative a tempi differenti: 3 minuti dal Big Bang la prima e 380.000 anni la seconda.
La coincidenza impressionante tra le due misure non solo rafforza l’affidabilità del nostro modello cosmologico ma permette di restringere ulteriormente la possibilità che esistano altre famiglie di neutrini oltre alle 3 conosciute, e questo numero è un cardine fondamentale nel modello standard delle particelle elementari.
Non tutto però funziona. Un problema che rimane tuttora irrisolto è quello dall’abbondanza del litio, significativamente al di sotto del valore previsto dalla teoria. Su questa incongruenza gli astronomi si stanno impegnando da anni, «anche se il problema» commenta Molaro «è probabilmente causato dalla complicata evoluzione del litio nelle atmosfere delle stelle dove viene misurato e non dalla teoria della nucleosintesi primordiale». Terminato il lavoro di rassegna, è proprio su questa eventualità che Paolo Molaro sta attualmente lavorando con Alessandro Bressan e Xiaoting Fu della SISSA.