Se vi piace guardare le stelle avrete sicuramente notato che questi oggetti non amano starsene in cielo da sole, a differenza di asteroidi e comete che, a volte, vagano in solitaria per l’Universo. Come è noto esistono i cosiddetti ammassi stellari, agglomerati che contengono diversi milioni di stelle. Fino a poco tempo fa i ricercatori credevano di conoscere bene i più antichi di questi cluster, avendo studiato nel dettaglio stelle trovate in gruppi, che però apparivano formatesi però in tempi diversi. Un team di esperti provenienti da tutto il mondo (Kavli Institute for Astronomy and Astrophysics -Peking University – e Chinese Academy of Science’s National Astronomical Observatories a Beijing) ha portato nel mondo accademico un nuovo studio, pubblicato su Nature, suggerendo che la formazione stellare in questi cluster è più complessa e le stelle vengono fatte risalire, quasi tutte, a una data di origine comune. Questa scoperta è stata effettuata grazie ai dati raccolti dal telescopio spaziale Hubble della NASA che è stato rivolto verso NGC 1651, un cluster scoperto da John Herschel nel 1834, trovando che almeno in grandi ammassi di “mezza età” tutte le stelle non sembrano differire molto in fatto di anni.
Come nascono le stelle? Bella domanda, ma può essere “semplice” rispondere e lo abbiamo fatto in un articolo precedente. Nello spazio ci sono enormi nubi molecolari, composte principalmente da idrogeno (l’elemento più presente nell’Universo), la cui massa può raggiungere anche milioni di volte la massa del nostro Sole. E’ da qui che nascono le stelle, quando le nubi si condensano subendo (come ci accade sulla Terra) la forza gravitazionale: lentamente si fondono in sfere sempre più dense che, crescendo e riscaldandosi, innescano processi di fusione nucleare. Questi portano l’idrogeno a trasformarsi in elio nei loro nuclei. Si tratta di un fenomeno che rilascia un’enorme quantità di energia che porta le stelle a brillare. Ma tutto arriva a una fine e anche le stelle non sono eterne: dopo miliardi di anni la loro fornitura di idrogeno si esaurisce e le stelle iniziano a bruciare le riserve presenti nel guscio esterno provocando variazioni di temperatura notevoli. Altre osservazioni di massicci ammassi avevano rivelato che le differenze di temperatura sono rilevanti nelle stelle arrivate “agli sgoccioli” della loro vita, ipotizzando gap di età tra le stelle anche oltre i 300 milioni di anni.
I ricercatori hanno focalizzato la loro ricerca su questo cluster di due miliardi di anni nella Grande Nube di Magellano, appunto NGC 1651, esaminando sia la variazione di temperatura che si verifica quando le stelle raggiungono la fine della loro “fornitura” di idrogeno nel nucleo, e sia una seconda variazione di temperatura che si verifica quando le stelle bruciano idrogeno del “guscio” che le avvolge. Il gruppo di esperti ha trovato un’ampia variazione di temperatura (come da previsione) nel primo caso, mentre sorprendenti sono stati i dati relativi alla luminosità di stelle a simili temperature ma già nella fase di utilizzo dell’idrogeno dello strato esterno delle stelle. La mancanza di variazione di temperatura tra queste stelle ha portato i ricercatori a concludere che gli oggetti in questo cluster devono trovarsi tutti all’interno della stessa fascia di età (al massimo con variazioni di 80 milioni di anni).
«NGC 1651 è il miglior esempio trovato fino ad oggi di una popolazione stellare di un’unica età», ha dichiarato Richard de Grijs, del KIAA. «Da allora abbiamo individuato una manciata di altri gruppi di mezza età che sembrano mostrare caratteristiche simili». In realtà, fino a un decennio fa gli astronomi ritenevano già che stelle all’interno dei singoli cluster avessero un’età simile, ma l’idea era stata presto abbandonata quando è arrivata la prova evidente della presenza di stelle di età diverse all’interno di un ammasso. Ma lo studio apparso su Nature ribalta tutto. Gli autori suggeriscono che la differenza di luminosità osservata nelle stelle arrivate alla fine della loro vita può essere dovuta alla rotazione stellare. Questo perché due stelle della stessa età possono presentare diversi livelli di temperatura se osservate mentre ruotano a velocità significativamente diverse. La maggior parte dei modelli, però, non prende in considerazione la rotazione stellare, mentre studi futuri potranno offrire una maggiore comprensione dell’età degli ammassi stellari proprio con questa variabile
Licai Deng, del National Astronomical Observatories, ha detto: «Questi risultati risolvono un dibattito decennale».
Per saperne di più:
Leggi qui lo studio pubblicato su Nature: “The exclusion of a significant range of ages in a massive star cluster”, di Chengyuan Li, Richard de Grijs e Licai Deng