Una tazza di magnesio, una di silicio, due di ferro e due d’ossigeno. Poi un mezzo cucchiaino d’alluminio, un altro mezzo di nichel, un altro mezzo ancora di calcio e una punta di zolfo. Infine, una spruzzata d’acqua d’asteroidi. Una volta che vi siete procurati gli ingredienti, impastate bene il tutto con le mani in una grande ciotola fino a formare una palla rotonda, senza amalgamare troppo, e ponetela delicatamente nella fascia d’abitabilità d’una giovane stella. Scaldate a fuoco alto fino a che non diventa una bianca sfera incandescente, continuate a cuocere per qualche milione di anni, quindi lasciate raffreddare: il colore virerà dal bianco al giallo al rosso fino a che non si formerà una crosta marrone dorata. Condite con una spruzzata d’acqua e un pizzico di composti organici. Mano a mano che l’acqua evapora, dando origine a nuvole e oceani, l’impasto si restringerà un po’. Lasciate riposare ancora qualche milione di anni e il pianeta sarà pronto. Se siete fortunati, potrebbe formarsi sulla superficie del vostro nuovo mondo persino una sottile glassa di vita.
A illustrare la ricetta per cucinare altri pianeti come il nostro è uno “chef” di origini cinesi, di Chongqing per l’esattezza: l’astronomo Li Zeng, della Harvard University. Ma il “ristorante” dove l’ha messa a punto è anche un po’ italiano, benché si trovi alle Canarie: è infatti presso il TNG, il Telescopio Nazionale Galileo dell’INAF, che è entrato in funzione da ormai due anni lo spettrometro HARPS-N, uno strumento di precisione per lo studio e la caratterizzazione dei pianeti extrasolari. Grazie ai dati raccolti da HARPS-N sugli esopianeti più piccoli, con diametro inferiore a due volte quello della Terra, i ricercatori del CfA (lo Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics) sono riusciti a verificare che la formula per formare un pianeta simile al nostro è valida anche al di fuori del Sistema solare.
«Il nostro Sistema solare non è così unico come potremmo pensare», dice Courtney Dressing, del CfA, coordinatrice dello studio presentato oggi a Seattle nel corso del 225esimo meeting della AAS. «A quanto pare, gli ingredienti di base dei pianeti extrasolari rocciosi sono sempre gli stessi». Per giungere a queste conclusioni, sfruttando la precisione con la quale HARPS-N riesce a misurare la massa degli esopianeti, gli astronomi del CfA hanno messo fianco a fianco tutti i dieci pianeti extrasolari, con diametro inferiore a 2.7 volte quello terrestre, per i quali sia disponibile una stima accurata della massa. Così facendo, hanno scoperto che i cinque pianeti con diametro inferiore a 1.6 volte quello della Terra mostrano una forte correlazione tra la massa e le dimensioni. E che in una curva della densità si collocano sulla stessa linea di Venere e della Terra: un risultato che suggerisce una composizione di ferro e roccia molto simile per tutti, a differenza di quanto emerso dai dati relativi agli esopianeti di massa superiore, le cui densità sono significativamente inferiori. «Se dunque vogliamo trovare un mondo davvero simile al nostro», conclude Dressing, «è sui pianeti con dimensioni inferiori a 1.6 volte quelle della Terra che dovremmo concentrarci, perché sono loro quelli rocciosi».
Pianeti come Kepler-93b, l’ultimo in ordine di tempo caratterizzato dal team di HARPS-N. Il suo raggio è pari a circa una volta e mezza quello della Terra, e orbita molto vicino alla sua stella madre, con un periodo di rivoluzione di 4.7 giorni terrestri. Massa e composizione erano incerti, ma grazie a HARPS-N i ricercatori sono ora riusciti a stabilire che la massa è pari a 4.02 volte quella della Terra, e dunque a dedurne che la sua composizione dev’essere rocciosa.
Quanto all’accoppiata TNG e HARPS-N, il telescopio italiano da 3.6 metri da una parte e, dall’altra, lo strumento che ha ereditato da Kepler l’onore e l’onere di tenere sott’occhio la porzione di cielo più battuta dai cacciatori di esopianeti, quella in direzione delle costellazioni del Cigno e della Lira, Dressing – che ha avuto occasione di trascorrere un periodo al telescopio, sull’Isola di La Palma – è entusiasta. «Fare parte del team di HARPS-N è fantastico», racconta ai microfoni di Media INAF, «sia per la qualità della scienza sia per l’esperienza anche culturale offerta dalla collaborazione internazionale».
Soddisfazione condivisa anche dal direttore del TNG, Emilo Molinari: «Ogni anno dedichiamo 80 notti per confermare i candidati pianeti scoperti dalla sonda della Nasa, come il pianeta Kepler-93b appena identificato con questa ricerca. HARPS-N è uno strumento ad alta precisione che punta verso l’emisfero Nord, a differenza del suo predecessore e gemello montato all’osservatorio dell’ESO in Cile. Il suo occhio permette di confermare la presenza dei pianeti misurando il movimento che questi imprimono sulla loro stella con una precisione del metro al secondo».