Un segnale periodico insolito. E’ quello rilevato da un gruppo di astronomi guidati da Matthew Graham del Caltech, che durante un lavoro di ricerca sulla variazione di luminosità di un insieme di quasar ha rilevato, in un caso, la presenza di un segnale periodico insolito, mai osservato in precedenza in questa classe di oggetti. Secondo gli autori, questo segnale sarebbe correlato alla fase finale della fusione di due buchi neri supermassicci, una scoperta che potrebbe far luce su uno degli enigmi dell’astrofisica moderna, noto come “problema dell’ultimo parsec”.
È noto, infatti, che nelle regioni nucleari di quasi tutte le galassie, inclusa la nostra Via Lattea, risiedono i buchi neri supermassicci (Super Massive Black Holes, SMBH) che possono raggiungere milioni o persino miliardi di volte la massa del Sole. Uno dei campi di ricerca a cui si dedicano gli astronomi riguarda il processo di “coevoluzione” dei buchi neri e delle rispettive galassie ospiti. Infatti, secondo la teoria, nel momento in cui le galassie interagiscono e diventano più massicce, a seguito del processo di fusione (merger), ciò vale anche per i buchi neri.
Questi “mostri del cielo” non possono essere osservati direttamente, ma sappiamo della loro esistenza grazie all’intensa forza gravitazionale che essi esercitano sul gas circostante che orbita attorno ad essi, formando un disco di accrescimento. Qui, le particelle vengono accelerate a grandi velocità, rilasciando enormi quantità di energia sotto forma di calore, raggi-X e gamma. Quando un buco nero supermassiccio viene coinvolto in questo processo, il risultato è un quasar cioè un oggetto estremamente luminoso che supera il contributo di tutte le stelle che compongono la galassia, visibile da distanze remote nell’Universo. «I quasar sono oggetti molto interessanti perché ci permettono di esplorare l’evoluzione delle galassie e dei rispettivi buchi neri che risiedono nei loro nuclei», spiega George Djorgovski del Center for Data-Driven Discovery e professore di astronomia al Caltech.
Nel numero di Gennaio di Nature, Djorgovski e il suo team riportano la scoperta di un insolito segnale periodico proveniente proprio da un quasar distante che, secondo gli autori, potrebbe essere il risultato della fase finale della fusione di due buchi neri supermassicci, un processo previsto dalla teoria ma che finora non è mai stato osservato. Questa scoperta potrebbe far luce su uno degli enigmi dell’astrofisica moderna, noto come “problema dell’ultimo parsec”, ossia la mancata nozione delle fasi finali del processo di merger di due buchi neri e, in particolare, della determinazione della sua durata temporale. «Sappiamo veramente poco su ciò che succede durante le fasi finali del merger dei buchi neri supermassicci», dice Matthew Graham uno specialista di scienze computazionali del Caltech e autore principale dello studio. «La scoperta di un tale sistema binario che sembra trovarsi proprio nelle fasi finali della sua evoluzione implica che ora abbiamo la possibilità di capire cosa sta effettivamente succedendo».
Gli scienziati hanno identificato il segnale che proviene dal quasar PG 1302-102 dopo aver analizzato i dati della Catalina Real-Time Transient Survey (CRTS). Si tratta di una rete di telescopi terrestri dislocati negli Stati Uniti e in Australia che monitora continuamente l’80% de cielo notturno tenendo sotto controllo circa 500 milioni di sorgenti luminose. «Finora, gli unici esempi noti di buchi neri supermassicci che si trovano nel corso di un merger sono separati di decine o centinaia di migliaia di anni luce», dice Daniel Stern uno scienziato del JPL e co-autore dello studio. «A queste distanze, occorrerebbero milioni se non miliardi di anni prima di avere una collisione, e quindi un merger. Invece, nel caso di PG 1302-102, la distanza di separazione dei due oggetti è dell’ordine di qualche centinaia di anni luce e perciò si potrebbe arrivare alla fusione nel giro di qualche milione di anni, o forse meno».
Originariamente, i ricercatori non hanno concepito questo studio al fine di trovare qualche caso di merger. Piuttosto, l’obiettivo principale della ricerca era quello di analizzare la variazione di luminosità dei quasar con la speranza di trovare nuovi indizi che possono far luce su alcune domande che riguardano l’astrofisica di questi oggetti. Tuttavia, dopo aver controllato i dati grazie ad un algoritmo sviluppato da Graham, gli astronomi hanno trovato che 20 sorgenti emettono segnali periodici. Si trattava di un risultato sorprendente poiché le curve di luce della maggior parte dei quasar sono casuali, un fatto legato al moto della materia che forma il disco di accrescimento. «In realtà non ci aspettiamo un segnale periodico», dice Graham. «Quando succede, lo si vede chiaramente». Dei 20 oggetti identificati dalla survey CRTS, PG 1302-102 rappresenta l’esempio migliore. L’oggetto mostra un segnale forte, pulito che si ripete mediamente ogni 5 anni. «Si tratta di un segnale lineare che va su e giù, simile ad un’onda sinusoidale, e che non è mai stato osservato nei quasar».
Gli scienziati sono stati cauti prima di arrivare a delle conclusioni definitive. «Lo abbiamo valutato con un certo scetticismo ma allo stesso tempo con entusiasmo», dice Eilat Glikman, professore di fisica del Middlebury College nel Vermont e co-autore dello studio. Dopo tutto, è possibile che possa trattarsi di una fluttuazione statistica, temporanea, presente in un segnale alquanto caotico. Ma per eliminare questa possibilità, gli scienziati hanno analizzato i dati storici di quasi 20 anni di osservazioni riguardanti il caso di PG 1302-102, trovando che il segnale era sempre presente.
Un’ulteriore conferma è arrivata dopo che Glikman ha analizzato lo spettro del quasar. I buchi neri che alimentano i quasar non emettono radiazione, ma il gas che orbita attorno ad essi, distribuito nel disco di accrescimento, si muove così velocemente che produce una sorta di plasma incandescente. «Quando osserviamo le righe di emissione nello spettro di un oggetto, l’informazione che ricaviamo si riferisce alla velocità di ‘qualcosa’ che si sta allontanando o avvicinando. Si tratta dell’effetto Doppler», spiega Glikman. «In generale, per i quasar si osserva solamente una riga di emissione che ha un profilo simmetrico. Ma nel caso in questione, è stato necessario aggiungere una seconda riga di emissione, con una velocità leggermente diversa rispetto alla prima, per adattare la descrizione dei dati osservati. Ciò implica qualcosa d’altro e cioè la presenza di un secondo buco nero che sta perturbando il sistema».
Non è ancora chiaro qualche meccanismo fisico sia responsabile del segnale periodico. Secondo gli autori, una possibilità è che il quasar sta convogliando il materiale del disco di accrescimento lungo due getti relativistici che ruotano come due fasci luminosi emessi da un faro. «Se questi due getti stanno ruotando in modo regolare, allora dovremmo osservare la radiazione nel momento in cui essi puntano direttamente verso la Terra. Il risultato finale è proprio un segnale periodico e regolare», dice Graham. Un’altra possibilità, invece, è che stia accadendo qualcosa al disco di accrescimento che gli fa scaricare materiale sui buchi neri in modo regolare, determinando così una emissione periodica di energia. «Ad ogni modo, anche se esistono una serie di meccanismi fisici attuabili che spiegano la periodicità che osserviamo, essi sono comunque causati fondamentalmente dal fatto che stiamo avendo a che fare con un sistema binario stretto», conclude Graham.
Nature: M. Graham et al. – A possible close supermassive black-hole binary in a quasar with optical periodicity
arXiv: A possible close supermassive black-hole binary in a quasar with optical periodicity