AI CONFINI DEL SISTEMA SOLARE

Oscuri perturbatori oltre Plutone?

Forse due o più pianeti ancora ignoti oltre l'orbita di Plutone potrebbero essere i responsabili che hanno modellato in modo del tutto peculiare le traiettorie di alcuni remoti oggetti celesti, noti come ETNO (Extreme Trans-Neptunian Objects). Questi i risultati di uno studio appena pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. La cautela comunque è d'obbligo, per avere conferme a questo scenario serviranno dati ed analisi più completi e accurati

     16/01/2015

Trans-Neptunian-largeNon c’è pace oltre Nettuno. Nel senso che la regione più esterna del Sistema solare è sempre più al centro dell’attenzione degli astronomi. Merito di questa spinta è, forse, l’imminente arrivo a Plutone della sonda New Horizons della NASA. Ma c’è anche l’oggettiva difficoltà di avere osservazioni estese e profonde degli oggetti che popolano la fascia transnettuniana e bizzarri comportamenti dinamici di alcuni di essi a stuzzicare l’interesse e la “fantasia” degli addetti ai lavori, che esplorano tutte le vie possibili per spiegarli.

L’ultimo studio, proposto dai fratelli Carlos e Raul de la Fuente Marcos, ricercatori presso l’Università Complutense di Madrid in Spagna e da Sverre Aarseth, dell’Università di Cambridge, nel Regno Unito, indica che oltre l’orbita di Plutone potrebbe esserci più di un corpo celeste molto massiccio, di taglia comparabile a un pianeta, in grado di “modellare” in modo del tutto peculiare le orbite di alcuni oggetti transnettuniani. Tanto da spingere gli astronomi a classificarli come “estremi”: la ‘E’ di ETNO sta proprio per Extreme (mentre TNO è la sigla di Trans Neptunian Object). La popolazione di questi corpi celesti oggi conosciuti è ancora limitata a una dozzina di componenti, che si trovano ad orbitare a distanze dal Sole comprese tra 150 e 525 unità astronomiche (una unità astronomica è la distanza media Terra-Sole, pari a circa 150 milioni di chilometri).

«Questi oggetti che possiedono parametri orbitali inattesi ci fanno credere che alcune forze invisibili stanno modificando le traiettorie degli ETNO e riteniamo che la spiegazione più plausibile sia dovuta all’esistenza altri pianeti sconosciuti oltre l’orbita di Plutone» spiega Carlos de la Fuente Marcos, che aggiunge: «Non sappiamo con certezza il loro numero, poiché i dati che abbiamo utilizzato sono limitati, ma i nostri calcoli suggeriscono che devono esserci almeno due pianeti, forse più, verso i confini del nostro Sistema solare».

Un’affermazione alquanto forte, non c’è che dire. I ricercatori sono giunti a queste conclusioni grazie a simulazioni al calcolatore che hanno ricostruito i parametri orbitali di alcuni ETNO contemplando gli effetti del meccanismo di Kozai. Questo processo descrive le perturbazioni gravitazionali che un oggetto celeste di grande massa esercita sull’orbita di un altro molto più piccolo e lontano, come nel caso della perturbazione dell’orbita della cometa 66P/Machholz1 prodotta da Giove.

Sono tuttavia gli stessi autori dello studio, appena pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, ad essere cauti rispetto ai risultati proposti. In effetti, l’esistenza di questi perturbatori di taglia planetaria cozza infatti pesantemente contro le predizioni dei modelli di formazione del Sistema solare, che indicano come non dovrebbero trovarsi pianeti in orbite circolari oltre Nettuno. E poi, il numero degli oggetti analizzati (tredici in totale) è ancora troppo limitato per poter trarre conclusioni definitive sul controverso argomento.  Insomma, dovremo aspettare nuove e approfondite indagini per capire se il classico sasso lanciato nello stagno da questa ricerca non si rivelerà, invece, come accade spesso, un buco nell’acqua.

 

Per saperne di più:

  • l’articolo Flipping minor bodies: what comet 96P/Machholz 1 can tell us about the orbital evolution of extreme trans-Neptunian objects and the production of near-Earth objects on retrograde orbits di C. de la Fuente Marcos, R. de la Fuente Marcos, S. J. Aarseth pubblicato sull rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society