Le chiamano bolle di Fermi perché la NASA le ha scoperte 5 anni fa utilizzando proprio il telescopio spaziale FERMI. Si tratta di una particolare e mozzafiato struttura nella Via Lattea che emette radiazione gamma e si estende per 50.000 anni luce, 25.000 sopra e 25.000 sotto il disco galattico. Il tutto è stato osservato nel 2010 con il Fermi Large Area Telescope (LAT), il rilevatore di raggi gamma (la radiazione di maggiore energia) più sensibile e con maggior risoluzione mai creato.
Se si osserva il cielo con strumenti per la rilevazione dei raggi gamma si scopre una meravigliosa varietà di oggetti, strutture e processi astrofisici. Molte volte, però, i dati catturati dai satelliti orbitanti o dagli strumenti a terra vengono disturbati da altre sorgenti, il che complica la loro identificazione e la loro interpretazione. Per questo, un gruppo di ricercatori del Max Planck Institute for Astrophysics guidato da Marco Selig ha elaborato un nuovo algoritmo per rimuovere il rumore di fondo e gli artefatti dalle osservazioni dei fotoni, chiamato D³PO (Denoising, Deconvolving, and Decomposing Photon Observations). Con questo nuovo modello (la cui sigla ricorda liberamente il famoso robottino di Guerre Stellari C-3PO) i ricercatori hanno potuto creare la più definita mappa della radiazione gamma del cielo utilizzando i dati dal satellite Fermi.
Utilizzando i dati del telescopio Fermi, il metodo D³PO scompone il cielo gamma in nove intervalli di energia per evidenziare meglio le diverse componenti responsabili dell’emissione sfruttando le loro diverse forme spettrali. Grazie anche agli algoritmi utilizzati, il team di D³PO ha realizzato un’immagine a colori basata sia sui fotoni provenienti da sorgenti puntiformi che su quelli legati all’emissione diffusa legata al mezzo interstellare. In questa mappa i diversi processi astrofisici possono essere riconosciuti tramite i loro spettri di energia, visibili – appunto – con colori diversi. Come risulta chiaro dalla figura, le due bolle gamma scoperte qualche anno fa da Fermi, e che sembrano avere origine nel centro della Via Lattea, appaiono di un colore blu-verdastro, scelto per indicare radiazione gamma ad alta energia. Le aree più arancioni sono invece dovute alla collisione dei protoni dei raggi cosmici con nubi di gas nella nostra galassia.
Osservando il disco galattico centrale si vede una sovrapposizione di due processi: collisioni di raggi cosmici con il gas delle nubi galattiche e l’interazione degli elettroni di alta energia con i fotoni prodotti dalle stelle. I ricercatori del Max Plank affermano che solo considerando i fotoni gamma prodotti in questi due processi viene spiegata più del 90% della radiazione di alta energia prodotta dalla nostra Galassia. Ciò che risulta dal nuovo modello è che la radiazione gamma viene generata con l’interazione con due mezzi: nubi molecolari dense e fredde e gas caldo e rarefatto. L’emissione gamma generata dagli elettroni in queste misteriose bolle ricade nello stesso intervallo di energie della radiazione emessa dagli elettroni che popolano il disco galattico. Il che suggerisce ai ricercatori che il materiale da cui è stata prodotto sia lo stesso, cioè gas, spinto da esplosioni di supernova, attraversato di elettroni che si muovono quasi alla velocità della luce. Le bolle di Fermi sarebbero dunque delle enormi colonne di gas caldo che si stanno allontanando dal centro della Via Lattea. Con l’algoritmo D³PO è stato dimostrato che le nubi di gas freddo che producono radiazione gamma sono distribuite in un disco meno sottile di quello evidenziato dalle nubi di polvere studiate dal satellite Planck. Con lo stesso algoritmo in futuro sarà possibile ottenere nuove immagini astronomiche ad altre lunghezze d’onda.
«L’immagine prodotta da D³PO ci dice, attraverso i colori, tutto quello che già sapevamo sulla radiazione diffusa dal piano della nostra galassie e dalle bolle di Fermi», ha detto a Media INAF Patrizia Caraveo (responsabile per INAF dello sfruttamento scientifico dei dati Fermi LAT nonché direttrice dell’Istituto di Fisica Cosmica dell’INAF di Milano). «In altre parole, è la scoperta dell’acqua calda ammantata da una bella vesta grafica. Tuttavia, il metodo ha delle potenzialità interessanti. Permette, infatti, di produrre una lista di sorgenti gamma senza dover utilizzare un modello per l’emissione diffusa che è, da sempre, uno dei punti deboli del processo di ricerca delle sorgenti gamma. Aspetto con impazienza di vedere un confronto tra la lista di sorgenti estratte con il metodo “colorato” e quelle appena rese pubbliche nel terzo catalogo Fermi».
Per saperne di più:
LEGGI QUI lo studio pubblicato su Astronomy & Astrophysics: “The Denoised, Deconvolved, and Decomposed Fermi γ-ray Sky – An Application of the D3PO Algorithm”, di Marco Selig, Valentina Vacca, Niels Oppermann, Torsten A. Enßlin