Prima di leggere, provatelo. Ne vale la pena. Fate scendere il cursore della barra in alto a destra da Dust Polarization giù fino a Composite, e guardate che succede (qui la versione a tutto schermo):
Fatto? Bene, quello che avete appena visto è l’universo (livello Composite) così come appare attraverso gli occhi del telescopio spaziale Planck dell’ESA. Un po’ come i fotorecettori sensibili alle lunghezze d’onda del rosso, del verde e del blu presenti nei nostri occhi, anche i rivelatori a bordo di Planck – gli horn, pure essi a forma di coni – sono sensibili a diverse frequenze: non tre soltanto, però, ma addirittura nove (qui potete provarle tutte, separatamente o insieme).
È grazie a quest’abbondanza d’informazioni che il satellite ESA è stato in grado non solo di tracciare la mappa più accurata a oggi disponibile della prima luce dell’universo (livello CMB), ma anche di “ripulirla” dalle emissioni di foreground, isolando contaminanti come il sincrotrone e altri a bassa frequenza (vedi il livello Low Frequency) o la polvere (livello Dust). Per sette di queste nove frequenze, Planck dispone poi di un ulteriore “senso”, quello per la polarizzazione (livello Dust Polarization). Non è una sua esclusiva: anche molti animali sono sensibili alla luce polarizzata (alcuni la usano per orientarsi, per esempio), e seppure in misura limitatissima persino noi umani.
Il Planckoscopio è stato realizzato dallo stesso gruppo di astronomi inglesi – Stuart Lowe, Chris North e Robert Simpson – che realizzò nel 2009 la versione più generale, il Cromoscopio: lo strumento perfetto per vedere la nostra galassia come se avessimo dei superocchi sensibili all’intero spettro elettromagnetico, dalle onde radio ai raggi gamma. Queste le sue “fonti”: Fermi (raggi gamma), ROSAT (raggi X), WHAM (H-alpha), DSS (luce visibile), IRAS (infrarossi), Planck (microonde) e Haslam (onde radio). Volete provarlo? Eccolo qui: