Le Supernovae di tipo core-collapse rappresentano l’ultimo atto della evoluzione di stelle massicce, almeno 8-10 volte la massa del sole. Oggi sappiamo che, al termine della loro evoluzione, i nuclei di queste stelle implodono sotto l’effetto della loro gravità, per poi esplodere con l’energia equivalente a quella prodotta da miliardi di Soli. Il 99% dell’energia viene emessa sotto forma di neutrini, particelle “impalpabili” difficilissime da rilevare, e solo un misero 1% viene trasformato in energia cinetica e radiazione luminosa, permettendo alla Supernova di rendersi visibile a miliardi di anni luce di distanza.
Molte però sono ancora le domande con risposte incerte. Ad esempio: quanto dipende l’energia dell’ esplosione dalla massa del progenitore? La massa è il “driver parameter” o ce ne sono altri? Soprattutto, siamo sicuri di utilizzare tecniche omogenee di analisi dei dati, per poter poi effettuare confronti significativi?
A queste domande ha cercato di rispondere uno studio recente, pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society (MNRAS), ad opera di un team internazionale guidato dagli astronomi dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Capodimonte. «Abbiamo selezionato tre supernovae di tipo IIP, caratterizzate da un esteso inviluppo di idrogeno», spiega Cristina Barbarino, studentessa di dottorato presso l’Osservatorio di Capodimonte, e prima firma dell’articolo, «utilizzando esattamente le stesse metodologie di riduzione di dati, analisi e modellizzazione, per evitare di introdurre differenze sistematiche che alterassero i risultati». Le tre supernovae confrontate sono la SN 2012ec (oggetto dell’articolo), la SN 2012aw e la SN 2012A, studiata dagli astronomi di INAF-Osservatorio Astronomico di Padova.
Le tre supernovae hanno la particolarità che per ognuna di esse è stato possibile identificare la stella progenitrice, da immagini di archivio, rendendo così possibile un confronto fra i risultati provenienti dai modelli di evoluzione stellare con quelli espressi dai modelli idrodinamici di esplosione, sviluppati da Luca Zampieri e Maria Letizia Pumo (INAF-Osservatorio Astronomico di Padova). Per tutti e tre gli oggetti i dati sono stati raccolti nell’ambito del progetto Public ESO Spectroscopic Survey of Transient Objects (PESSTO), una survey pubblica che ha come obiettivo la raccolta, lo studio e la creazione di un database di spettri di oggetti transienti, principalmente supernovae. Il Principal Investigator di PESSTO, Stephen Smartt della Queen’s University di Belfast, commenta: «In circa tre anni di attività PESSTO ha classificato e studiato oltre 270 transienti, di cui oltre l’80% supernovae, producendo dati accurati di enorme valore».
Lo studio, pur riducendo la differenza “storica” nelle masse ricavate con le due metodologie (evolutiva ed idrodinamica) ha altresì messo in dubbio la relazione diretta fra energia della supernova e massa della stella progenitrice, suggerita in uno studio recente. Se confermato, questo risultato implicherebbe che l’energia di esplosione è influenzata in modo significativo anche da altri parametri come ad esempio la composizione chimica, la rotazione o l’eventuale presenza di una stella compagna. «Il nostro risultato è basato su soli tre oggetti ed è quindi preliminare», ammette Massimo Dall’Ora, dell’INAF di Napoli e co-autore dello studio «sarà necessario completare la nostra analisi aumentando il campione di Supernovae studiate».
Oltre alla dottoranda Cristina Barbarino, all’articolo ha partecipato una folta schiera di astronomi INAF (vedi l’articolo) e una ventina di studiosi, provenienti da prestigiosi centri di ricerca internazionali, tra i quali il nobel Brian Schmidt ( Australian National University).