Attraverso l’oculare di un telescopio ottico, per quanto potente possa essere, il corpo di Venere si presenta ai nostri occhi avvolto in uno spesso cappotto di nubi. Un’atmosfera decisamente irrespirabile, fatta di anidride carbonica e acido solforico, pressocché impenetrabile, se non al radar delle sonde spaziali che, negli anni di missioni verso il secondo pianeta del Sistema Solare, ci hanno regalato immagini mozzafiato di montagne, crateri e vulcani, che punteggiano la superficie del pianeta.
Ma l’immagine che ci regala oggi il National Radio Astronomy Observatory è qualcosa di più: un pianeta nudo, frutto del lavoro congiunto del Green Bank Telescope e del potente trasmettitore radar dell’Arecibo Observatory, entrambi proprietà della National Science Foundation. Un’immagine di straordinario dettaglio catturata direttamente da Terra.
I segnali radar dell’osservatorio di Arecibo hanno attraversato sia la nostra atmosfera sia la densa coltre di anidride carbonica in cui è avvolta Venere (vedi MediaINAF). Lì i segnali radio hanno colpito la superficie venusiana e sono rimbalzati indietro per essere ricevuti dal Green Bank Telescope secondo il protocollo previsto dai sistemi radar bistatici.
Un lavoro in combinata quello dei due strumenti della National Science Foundation che ci permette di studiare la superficie di Venere oggi e monitorarne le eventuali modifiche nel tempo. Ed è confrontando le immagini scattate in diversi periodi di tempo che gli astrofisici sperano di individuare (finalmente) segni di vulcanismo attivo e altri processi geologici dinamici che possano rivelare indizi riguardo la storia e le condizioni del sottosuolo geologico venusiano.
In un paper appena pubblicato dalla rivista Icarus si mettono a confronto le immagini raccolte dall’osservatorio di Arecibo oggi, con i primi campioni del 1988 e gli ulteriori dati raccolti nei primi anni 2000 da Lynn Carter del Goddard Spaceflight Center NASA.
«Dentro quelle immagini ci sono le prove di un cambiamento sulla superficie di Venere, ma il nostro lavoro non è ancora concluso. Ma la combinazione delle immagini raccolte ci mostra già oggi un’alterazione del suolo venusiano causato da processi di cui non eravamo a conoscenza», spiega Bruce Campbell, senior scientist presso il Center for Earth and Planetary Studies dello Smithsonian’s National Air and Space Museum di Washington, D.C.