Quale scienziato non vorrebbe scoprire che lì fuori nell’Universo c’è vita, vita aliena. Molti, infatti, sono i progetti di ricerca attualmente in corso – o in fase di progettazione – dedicati alla caccia di microorganismi su altri pianeti, sulle comete, nelle nebulose oppure nello spazio interstellare. Uno dei progetti che recentemente ha visto “la prima luce” è NIROSETI o Near-infrared Optical SETI, uno strumento che – a differenza dei suoi predecessori – opera nel vicino infrarosso, permettendogli di superare la barriera dei gas e della polveri interstellare che invece si frappone ai telescopi ottici. Questo nuovo strumento, dotato di rilevatori e sensori all’avanguardia, ha appena iniziato a setacciare il cielo alla ricerca di altri mondi, con la speranza di trovarne uno che abbia la vita.
«La luce infrarossa rappresenta un ottimo mezzo di comunicazione interstellare», ha detto Shelley Wright, professoressa di Fisica presso l’Università di California, San Diego, che ha guidato lo sviluppo del nuovo strumento per il Dunlap Institute for Astronomy & Astrophysics dell’Università di Toronto (Canada).
L’idea risale a qualche decennio fa, addirittura al 1961, ma gli strumenti in grado di catturare gli impulsi di luce infrarossa sono disponibili solo da pochissimi anni. «Abbiamo dovuto aspettare che la tecnologia giusta emergesse», ha spiegato la Wright. E proprio tre anni fa, quando lavorava al Dunlap Institute, la ricercatrice ha ottenuto i fondi per acquistare dei rilevatori all’epoca appena messi sul mercato e li ha testati per la loro utilità al telescopio che aveva in mente. E così è stato. NIROSETI sarà in grado di raccogliere molte più informazioni rispetto ad altri rilevatori ottici attualmente in opera, registrando i livelli di luce nel tempo, in modo che i modelli possano essere analizzati sperando di trovare potenziali segni di altre civiltà nell’Universo.
Proprio perché, come detto, la “luce” infrarossa riesce a “farsi strada” più facilmente tra le polveri e i gas interstellari, questo nuovo strumento osserverà migliaia di stelle molto lontane da noi e non si limiterà ad osservare oggetti in un raggio di qualche centinaia di anni luce di distanza. Lo strumento è stata installato all’interno della cupola del Lick Observatory, gestito dall’Università della California, e ha iniziato ad operare lo scorso 15 marzo. In gergo tecnico si dice che ha visto la prima luce. Non è la prima volta che questo osservatorio, a est di San Josè (California), ospita esperimenti del gruppo di ricerca SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), inclusa la survey OSETI (Optical SETI) condotta tra il 2001 e il 2006 ovviamente nel campo della luce visibile. I ricercatori sono riuisciti a catalogare 4600 stelle nel raggio di 200 anni luce dalla Terra, comprese le stelle con pianeti già conosciuti dalla comunità scientifica.
NIROSETI potrebbe scoprire anche nuove informazioni sull’universo stesso. «Questa è la prima volta che i terrestri possono guardare l’Universo a lunghezze d’onda infrarosse con tempi che si aggirano intorno al nanosecondo», ha detto Dan Werthimer, dell’Università Berkeley. «Lo strumento potrebbe scoprire nuovi fenomeni astrofisici, o forse davvero rispondere alla domanda “siamo soli nell’Universo?”».
Frank Drake, uno dei pionieri del progetto SETI, ha spiegato che «i segnali sono così potenti che basta un piccolo telescopio per riceverli, anche perché piccoli strumenti permettono un tempo di osservazione più lungo. E si tratta di un dato da considerare visto che dobbiamo osservare molte stelle per avere qualche chance di successo». In particolare, questi ricevitori sono molto più convenienti rispetto a quelli utilizzati sui radiotelescopi.
“Sono convinto che possa essere una buona idea cercare su questa banda – dice Stelio Montebugnoli, già direttore dell’Istituto di Medicina dell’INAF e responsabile in Italia del progetto SETI – perché le osservazioni nell’infrarosso ci permettono di osservare deboli stelle (con eventuali sistemi planetari) anche attraverso nubi di gas e di polvere, cosa ovviamente non possibile con i telescopi ottici. Da sottolineare anche che è attraverso questa finestra dello spettro elettromagnetico che gli astronomi hanno avuto la possibilità di studiare e mappare il centro della nostra galassia”.
C’è ovviamente un inconveniente da non sottovalutare: per “ascoltare” se nell’Universo c’è qualcuno oltre a noi, è necessario che questo “qualcuno” trasmetta dei segnali nella nostra direzione. «Se otteniamo un segnale da qualcuno che sta puntando verso di noi, potrebbe significare che c’è altruismo nell’Universo. Mi piace questa idea. Se vogliono essere amichevole, ecco chi troveremo», ebbe a dire Frank Drake.
“Si presuppone, continua Montebugnoli, che ET sia poi ad uno stadio tecnologico della sua evoluzione tale da essere in grado di rilasciare, volutamente o non, segnali della sua attività su questa banda di frequenze così elevate. Rimane fermo il fatto che da terra possiamo cercare segnali inviati da un eventuale ET solo attraverso quelle finestre (bande) dello spettro elettromagnetico che si “vedono” aperte verso l’universo, come ad esempio succede per la finestra radio. Per effetto dell’azione attenuante dell’atmosfera invece, le osservazioni sulla banda degli infrarossi si devono effettuare con osservatori installati a bordo di satelliti o, accettando le limitazioni del caso, con osservatori installati ad alta quota”.
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