Come gli esploratori dei secoli scorsi che, fieri, disegnavano le prime mappe dei continenti appena scoperti, il team della sonda Dawn ha presentato in questi giorni una prima immagine a colori del pianeta nano Cerere. La mappa, insieme ai primi risultati dello strumento italiano VIR, è stata diffusa alla Conferenza Scientifica EGU, la European Geosciences Union General Assembly, che si svolge in questi giorni a Vienna. Durante la conferenza stampa, il team della missione ha sottolineato come le evidenti differenze della superficie suggeriscano che Cerere fosse una volta un corpo estremamente attivo.
A differenza di Vesta, il primo target della missione NASA studiato dal 2011 al 2012, che dai dati risulta essere un corpo “secco”, gli scienziati pensano che Cerere possa avere circa il 25% della propria massa in forma di ghiaccio. Dal confronto tra i due corpi -i due più grandi oggetti della fascia degli asteroidi-, la comunità scientifica si aspetta di poter raggiungere una migliore comprensione della formazione del sistema solare.
Chris Russel, PI di Dawn, dalla Università della California, afferma durante l’EGU: «Cerere non è stato un corpo di roccia inerte per tutta la sua storia evolutiva. Questo pianeta nano era un tempo estremamente attivo, con processi che hanno portato alla formazione di diversi materiali. Abbiamo appena iniziato a catturare le prove tangibili di questa diversità nei primi dati e nelle prime immagini a colori». La mappa a cui fa riferimento Russel potrebbe essere denominata “a colori esagerati”. L’immagine infatti non presenta dei colori realistici, come quelli che potrebbero essere visti da un occhio umano, ma è stata realizzata combinando i filtri della camera ad alta risoluzione per enfatizzare anche le minime differenze di colore, altrimenti quasi invisibili nella superficie grigio scuro del pianeta nano.
Oltre alle differenze di colore, la mappa mostra molto chiaramente una superficie ricoperta di crateri, anche se in quantità e di dimensioni molto inferiori a quanto ci si aspettasse dalla teoria. Sull’immagine, spiccano infine le ormai famose macchie luminose presenti nell’emisfero nord. L’interesse del team è stato catturato in particolare da due macchie, evidenziate nell’immagine, che rappresentano le zone più luminose di tutta la superficie del pianeta nano. Essendo tra quelle già osservate in passato da Hubble Space Telescope, le due zone portano il nome storico di Spot 1 e Spot 5: Spot 1 è la zona più vicina all’equatore (nel cerchio rosso sulla sinistra nella mappa), mentre la zona denominata Spot 5 è la più luminosa in assoluto e composta da due macchie distinte, situate all’interno di un cratere di 92 km di diametro (il cerchio più a destra nell’immagine).
Anche VIR, lo spettrometro italiano a bordo della sonda, fornito da ASI e realizzato da Selex Galileo sotto la guida scientifica del’INAF, ha iniziato nelle scorse settimane a raccogliere i primi dati. Federico Tosi, INAF-IAPS, parlando all’EGU ha affermato che «dai primi dati raccolti da VIR risulta chiaro che le due macchie bianche osservate finora mostrano due comportamenti diversi. Mentre lo Spot 1 sembra essere una zona più fredda del terreno circostante, la seconda macchia identificata come Spot 5 sembra avere circa la stessa temperatura della superficie che la circonda. Al momento la risoluzione del nostro strumento non è sufficiente per capire a cosa questa differenza di comportamento sia dovuta e il perchè queste due zone siano così luminose, se dipende da una diversa composizione chimica, da una diversa composizione fisica dei grani che compongono la superficie o da altri fenomeni che sicuramente dovremo interpretare».
Le misteriose macchie bianche continueranno a catturare l’attenzione degli scienziati nelle prossime settimane, almeno fino a quando il volo di Dawn non porterà la sonda abbastanza vicino per poter risolvere il mistero. Maggiori dettagli verranno rivelati già nella prossima orbita, dopo il 23 Aprile 2015, quando la sonda inzierà a raccogliere dati da una distanza di 13,500 km dalla superficie di Cerere.
L’intervento di Federico Tosi all’EGU.