Era il 1980 quando, nel secondo episodio della saga “Guerre Stellari”, Luke Skywaler perde la mano durante l’ultimo scontro con il padre Dart Fener: con un colpo di spada gli tagliò di netto la mano destra, disarmandolo. Alla fine dell’episodio “L’Impero colpisce ancora” Luke riapparve a bordo di una fregata medica ribelle dove gli venne impiantata una mano artificiale. Trentacinque anni fa sembrò fantascienza, oggi invece è realtà. O almeno ci siamo molto vicini.
A Roma è stato presentato il primo prototipo di mano artificiale robotica poliarticolata e polifunzionale, antropomorfa, derivata dalla tecnologia robotica dell’IIT (Istituto italiano di Tecnologia) e perfezionata grazie alle competenze tecniche del Centro Protesi INAIL di Budrio. La protesi si chiama SoftHand.
«L’Inail mostra come un ente semiautonomo all’interno dello Stato, qual è il nostro, possa contribuire alla politica sociale, in termini moto innovativi. E anche alla politica della ricerca perché si tratta di un esempio importantissimo di collaborazione con l’Istituto italiano di tecnologia». Lo ha detto Massimo De Felice, presidente Inail. All’incontro hanno partecipato anche i ministri del Lavoro Giuliano Poletti e della Salute Beatrice Lorenzin.
Si tratta di un dispositivo made in Italy per cui è stato necessario 1 anno di lavoro dalla sigla dell’accordo INAIL-IIT, nel dicembre 2013, per lo sviluppo di nuovi dispositivi protesici e riabilitativi avanzati, con investimenti congiunti complessivi pari a 11,5 milioni di euro. Il gruppo di lavoro ha visto il coinvolgimento di 20 fra ricercatori, sviluppatori dei laboratori IIT e personale tecnico e medico presso il Centro Protesi INAIL di Budrio.
La nuova mano consente il recupero della funzionalità complessiva ai pazienti amputati di arto superiore. Realizzata con il contributo della tecnologia 3D-printing, in materiale plastico e con alcune componenti metalliche, la mano artificiale è robusta e leggera (meno di 500 gr) ed estremamente flessibile, grazie all’ingegnerizzazione di un tendine artificiale che consente di riprodurre i movimenti naturali. Come funziona? Il paziente controlla la mano protesica attraverso 2 sensori che recuperano il segnale naturale dei muscoli residui. Il dispositivo verrà indossato e quindi non sono previste operazioni invasive, una sorta di esoscheletro.
A testare per primo questa mano robotica è stato Marco Zambelli, il quale si è visto amputare l’arto alla tenera età di 15 anni dopo un tragico incidente sul lavoro. E dopo 45 anni tornerà a compiere i gesti più normali, quelli ai quali tutti noi non diamo molta importanza, come aprire e chiudere la mano, stringere una bottiglia, tagliare il pane. L’arto hi-tech è sì robotico e artificiale, ma talmente preciso da sembrare vero.
Un’ulteriore dimostrazione di quanto innovazione e ricerca rappresentano un investimento per il futuro del benessere umano, ma anche della capacità dell’uomo di andare oltre i propri confini di adattabilità. La robotica ha implicazioni in molti campi, compresi l’osservazione dell’universo e l’esplorazione spaziale.
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Guarda lo speciale su IIT realizzato da Media INAF