Le osservazioni del satellite della NASA Swift hanno colto un eccezionale lampo di emissione dal capostipite della classe delle Supergiant Fast X-ray Transients, durante il quale questa sorgente ha superato di ben 10 volte il proprio record personale di luminosità, e persino il limite teorico massimo di luminosità atteso per queste sorgenti. Un risultato, ottenuto da un team in gran parte composto da ricercatori italiani e dell’INAF e guidato da Patrizia Romano (ricercatore INAF presso l’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica di Palermo), che solleva dubbi su alcuni aspetti fondamentali che riguardano queste imprevedibili sorgenti.
«Per noi la sorgente IGR J17544−2619 non è una semplice sigla, ma è ‘The King’ perché è l’oggetto più estremo e forse capriccioso della classe delle Supergiant Fast X-ray Transients. Ogni volta che pensiamo di aver colto un indizio, intuito un meccanismo fisico che lo spinga a comportarsi così, con questi suoi caratteristici improvvisi e brillanti lampi di emissioni di radiazione X, ecco che si produce in qualcosa di nuovo, qualcosa di assolutamente stupefacente». Così Patrizia Romano, commenta gli imprevisti ‘sbalzi d’umore’ di IGR J17544−2619, una coppia di stelle interagenti composta da una supergigante il cui vento accresce sulla compagna di tipo compatto, una stella di neutroni. Patrizia Romano e il suo team, in gran parte composto da ricercatori italiani e dell’INAF, studiano da anni questa e altre sorgenti simili, in particolare grazie alle osservazioni del satellite Swift (missione NASA con partecipazione italiana e del Regno Unito) cercando di capire da cosa siano causate le improvvise impennate nel flusso dei raggi X da questi oggetti celesti. Ecco il loro racconto ‘corale’ dell’ultima, potentissima, esplosione di energia da IGR J17544−2619 il 10 ottobre scorso e dei risultati della indagine ad essa legata, pubblicati in un articolo sulla rivista Astronomy&Astrophysics. Ma partiamo dall’inizio, dal fatidico momento in cui il team di Swift riceve l’avviso ‘in diretta’ dal satellite che qualcosa, in quella sorgente, aveva iniziato a cambiare. E molto: «Quando ho visto, insieme ai colleghi americani, i primi dati che indicavano un flusso confrontabile con quello della Nebulosa Crab, una delle più intense sorgenti di alta energia nel cielo, non potevo credere ai miei occhi», sottolinea Vanessa Mangano, astrofisica della Penn State University, negli USA.
E dopo la sorpresa, arrivano i primi calcoli che forniscono le stime della quantità di energia sprigionata nell’evento. «IGR J17544-2619 non ha solo battuto il proprio record personale di ben 10 volte, estendendo così il proprio range dinamico, ovvero il rapporto tra la luminosità massima e minima misurata, ad un milione – aggiunge Sergio Campana, dell’Osservatorio Astronomico INAF di Brera – ma ci ha anche lasciato con un puzzle da risolvere, un grosso inaspettato problema».
Negli ultimi anni la ricerca sulle SFXTs, sistemi binari composti da una stella di neutroni sulla quale precipita materia proveniente dal vento dalla compagna, una supergigante blu, si è infatti concentrata sulla loro caratteristica più vistosa: i brillanti lampi durante i quali questi oggetti raggiungono flussi nei raggi X ‘soffici’ anche 100.000 volte maggiori rispetto ai periodi di quiete. In particolare è noto che le SFXT siano meno luminose in generale di binarie ‘normali’, ovvero, che non mostrano questi flare.
«Stavamo principalmente cercando di spiegare le osservazioni mediante l’inibizione dell’accrescimento sull’oggetto compatto, ma ora ci troviamo di fronte ad una nuova sfida, ovvero comprendere come giustificare le altissime luminosità raggiunte, che superano le luminosità tipiche in sistemi che accrescono da vento stellare» spiega Enrico Bozzo, dell’INTEGRAL Science Data Center (ISDC) di Ginevra. «La luminosità di picco di IGR J17544-2619 si può ottenere o con un vento stellare estremamente lento (con velocità circa 100 volte più basse di quelle attese per una normale stella supergigante) o con altissimi (ed improbabili) tassi di accrescimento».
I venti dalla compagna supergigante possono essere considerevolmente rallentati dalla ionizzazione dovuta alla radiazione X prodotta dall’accrescimento sulla stella di neutroni, soprattutto in sistemi che, come quello di IGR J17544-2619 siano caratterizzati da periodi orbitali relativamente brevi e dotati di una certa eccentricità. In queste condizioni è difficile impedire la formazione di un disco di accrescimento transitorio, la cui dissipazione può incrementare considerevolmente il tasso di accrescimento sulla stella di neutroni e quindi spiegare in modo naturale i flare fino a 10 volte più brillanti dei precedenti osservati dal team.
Secondo Paolo Esposito dell’INAF-IASF di Milano, attualmente Fulbright fellow presso l’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, «la prova definitiva in favore della formazione di un disco di accrescimento (anche se temporaneo) sarebbe la misura di un incremento della velocità di rotazione della stella di neutroni durante questi intensi periodi di emissione, ma purtroppo ‘the King’ è stato finora reticente a mostrare pulsazioni nella sua emissione X e persino in questo spettacolare evento abbiamo solo potuto evidenziare un debole segnale pulsato con un periodo di circa 12 secondi».
«Ci sono naturalmente spiegazioni alternative» aggiunge Gianluca Israel dell’Osservatorio Astronomico INAF di Roma, «come l’accrescimento di grossi grumi di materia provenienti dalla compagna, come si è osservato in passato per un’altra SFXT, ma l’analisi spettroscopica di questo evento non ha rivelato alcun cambiamento spettrale a loro supporto». Insomma, spiegare i comportamenti di ‘The King’ non è certo un compito semplice, ma gli scienziati del team sono al lavoro per studiare ancora più approfonditamente questa enigmatica sorgente e arrivare finalmente a scoprire la sua vera natura.
Per saperne di più:
- l’articolo Giant outburst from the supergiant fast X-ray transient IGR J17544−2619: accretion from a transient disc? di P. Romano, E. Bozzo, V. Mangano, P. Esposito, G. Israel, A. Tiengo, S. Campana, L. Ducci, C. Ferrigno, e J. A. Kennea pubblicato sulla rivista Astronomy&Astrophysics Letters, 576, L4