Un gruppetto di astronomi e geofisici alla School of Earth and Space Exploration della Arizona State University ha raffreddato gli entusiasmi riguardo alla possibilità che un pianeta orbitante attorno alla stella Tau Ceti possa essere favorevole per lo sviluppo della vita. Tau Ceti è una stella che ha sempre acceso la fantasia, non solo degli autori di fantascienza, in quanto è l’astro con caratteristiche simili al Sole più vicino a noi, trovandosi a “soli” 12 anni luce di distanza. Dal dicembre 2012, Tau Ceti è diventata ancora più attraente grazie alla scoperta, attraverso l’analisi delle variazioni della velocità radiale della stella, di un probabile sistema di cinque pianeti (vedi Media INAF), con due di questi – Tau Ceti e e f – potenzialmente residenti nella cosiddetta zona abitabile, quella fascia all’interno della quale possono esistere oceani di acqua liquida.
Utilizzando la composizione chimica di Tau Ceti, nel nuovo studio la squadra dell’Università statale dell’Arizona ha modellato l’evoluzione della stella e calcolato la sua zona abitabile. Anche se i nuovi risultati confermano che due dei cinque pianeti possono trovarsi nella zona abitabile, dal punto di vista geofisico questo non significa che siano corpi adatti a sostenere un’ipotetica forma di vita.
«Il pianeta Tau Ceti “e” si trova nella zona abitabile solo se facciamo ipotesi molto generose», spiega l’astrofisico Michael Pagano, primo firmatario dello studio apparso sulla rivista Astrophysical Journal. «Il pianeta “f” era inizialmente più promettente, ma modellando l’evoluzione della stella sembra più probabile che sia venuto a trovarsi nella zona abitabile solo di recente, dal momento che la stella madre ha intensificato la sua luminosità nel corso della sua vita».
Sulla base dei modelli elaborati dal team di ricerca, il pianeta “f” ha risieduto in zona abitabile per molto meno di 1 miliardo di anni. Benché sembri comunque un tempo lunghissimo, bisogna tenere conto che alla biosfera terrestre sono occorsi circa 2 miliardi di anni per produrre cambiamenti tali da essere rilevabili nell’atmosfera. Questo significa che un pianeta entrato nella zona abitabile solo poche centinaia di milioni di anni fa potrebbe sì essere abitabile, o addirittura popolato da forme di vita come i batteri, ma dal nostro punto di vista non potremmo rilevare biosignatures, ovvero indicatori di attività biologica.
Tau Ceti ha una composizione molto particolare per quanto riguarda il rapporto tra magnesio e silicio, due dei più importanti elementi per la formazione dei minerali sulla Terra, con un rapporto che è circa il 70% più alto rispetto al nostro Sole. Questa differenza ha probabilmente una ripercussione sulla formazione dei pianeti attorno alla stella.
«Con una tale rapporto elevato tra magnesio e silicio», spiega il fisico dei minerali Sang-Heon Shim, tra gli autori dello studio, «è possibile che la composizione mineralogica dei pianeti intorno Tau Ceti sia significativamente differente da quella terrestre. I pianeti di Tau Ceti potrebbe benissimo essere dominati da olivina minerale in parti poco profonde del mantello, e mantelli inferiori pervasi da ferropericlase, ossidi di magnesio/ferro».
Considerando che il ferropericlase è molto meno viscoso, un mantello di roccia calda così composta fluirebbe più facilmente, inducendo effetti profondi su vulcanismo e tettonica della superficie planetaria. Processi, questi, che hanno un impatto significativo sulle condizioni di abitabilità dei pianeti di tipo terrestre.
«Questo risultato rappresenta un promemoria sul fatto che i processi geologici sono fondamentali per comprendere l’abitabilità o meno dei pianeti», aggiunge Shim.
«La constatazione che la presenza vita intorno a Tau Ceti sembra improbabile non dovrebbe essere presa come una delusione, ma dovrebbe invece rinvigorire le nostre menti nell’immaginare quali esotici pianeti orbitano la stella, e quali nuovi e insoliti pianeti possono esistere in questo vasto universo», conclude Pagano.
Per saperne di più:
- Il preprint dell’articolo “The Chemical Composition of Tau Ceti and Possible Effects on Terrestrial Planets,” di Michael Pagano et al., pubblicato su Astrophysical Journal