Secondo un nuovo studio condotto con il telescopio spaziale per raggi X Chandra, gli astronomi hanno individuato una particolare popolazione di buchi neri che starebbe consumando una quantità eccessiva di materia. Questo risultato potrà fornire nuovi indizi per comprendere come i buchi neri più massicci furono in grado di crescere molto rapidamente durante le fasi iniziali della storia dell’Universo.
Gli astronomi ritengono che i buchi neri supermassicci, le cui masse possono andare da qualche milione fino a miliardi di volte la massa del Sole e che risiedono nei nuclei delle galassie, possono catturare enormi quantità di gas e polveri che sono attratti dalla loro immensa forza gravitazionale. Man mano che la materia cade verso i buchi neri, essa diventa così incandescente e brillante da renderli visibili da enormi distanze, fino a miliardi di anni luce. Questi oggetti vengono chiamati quasar.
I risultati di questo studio, pubblicati su Astrophysical Journal, suggeriscono che alcuni quasar sono più propensi di altri nell’attrarre la materia circostante più di quanto sia stato immaginato in precedenza. «Anche rispetto al caso degli oggetti che sono già ottimi consumatori di materia, questi enormi buchi neri sembrano avere più appetito di altri, con un ritmo che va da cinque a dieci volte superiore rispetto ai classici quasar», spiega Bin Luo della Penn State University in State College, Pennsylvania, e autore principale dello studio.
Luo e il suo team hanno esaminato i dati del satellite Chandra relativi a 51 quasar che sono situati ad una distanza compresa tra 5 e 11,5 miliardi di anni luce dalla Terra. Questi oggetti sono stati selezionati poiché presentavano una insolita, debole emissione associata a certi atomi, in particolare il carbonio, nella banda dell’ultravioletto. Non solo, ma circa il 65 percento sono risultati molto deboli anche nella banda X, di circa 40 volte in media, rispetto ai quasar ordinari. La debole emissione atomica ultravioletta e la debole radiazione X potrebbero fornire un importante indizio alla domanda su come un buco nero supermassiccio attrae la materia. Le simulazioni numeriche mostrano che per tassi di accrescimento più bassi la materia si dispone in orbita attorno al buco nero lungo un disco di accrescimento sottile. Se, però, il tasso di accrescimento diventa più elevato, il disco può “gonfiarsi” drammaticamente, a causa di una più significativa pressione di radiazione, determinando una struttura detta toro, a forma di ciambella, che circonda la parte più interna del disco.
«Questo modello descrive bene i nostri dati», dice Jianfeng Wu dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (CfA), in Cambridge, Massachusetts e co-autore dello studio. «Se un quasar si trova immerso in una struttura spessa a forma di toro composta di gas e polveri, essa assorbirà gran parte della radiazione che viene prodotta più vicina al buco nero impedendogli così di raggiungere il gas che si trova nelle regioni più esterne. Ciò fa sì che l’emissione atomica ultravioletta che quella in banda X appariranno più deboli». Anche il bilancio tra l’attrazione gravitazionale e la pressione di radiazione ne sarà influenzato. «Ci aspettiamo che venga emessa una quantità maggiore di radiazione in direzione perpendicolare al toro, piuttosto che lungo il disco, il che permette al materiale di precipitare verso il buco nero a ritmi più elevati» aggiunge Niel Brandt della Penn State University e co-autore dello studio.
Dunque, l’implicazione più importante che emerge da questo lavoro è che i quasar caratterizzati da un disco spesso possono ospitare buchi neri che crescono ad un ritmo straordinario. Questo studio, assieme ad altri precedenti contributi, suggerisce infine che tali oggetti potrebbero essere stati molto comuni nell’Universo delle origini, almeno circa un miliardo di anni dopo il Big Bang. Questa rapida evoluzione potrebbe inoltre spiegare l’esistenza di buchi neri di grossa taglia anche ad epoche più remote.