AVVOLTE DA UNO SCUDO DI MATERIA OSCURA

Le galassie libellula: grandi, leggere e resistenti

Confermata l’esistenza delle UDG, Ultra Diffuse Galaxies, sparsi agglomerati di stelle che devono ospitare in proporzione molta materia oscura per poter stare assieme. «Se la Via Lattea fosse un mare, allora queste galassie sarebbero nuvole», spiega Pieter van Dokkum della Yale University

     15/05/2015
Una galassia ultra diffusa (UDG), Dragonfly 17, confrontata in scala con altri tipi di galassie. Le UDG possiedono lo stesso numero di stelle rispetto alle ellittiche nane (come NGC 205, in alto nell’immagine), ma sparse in una regione molto più ampia. Crediti: B. SCHOENING, V. HARVEY/REU PROGRAM/NOAO/AURA/NSF, P. VAN DOKKUM/HUBBLE SPACE TELESCOPE.

Una galassia ultra diffusa (UDG), Dragonfly 17, confrontata in scala con altri tipi di galassie. Le UDG possiedono lo stesso numero di stelle rispetto alle ellittiche nane (come NGC 205, in alto nell’immagine), ma sparse in una regione molto più ampia. Crediti: B. SCHOENING, V. HARVEY/REU PROGRAM/NOAO/AURA/NSF, P. VAN DOKKUM/HUBBLE SPACE TELESCOPE.

Un team internazionale di ricercatori, guidato da Pieter van Dokkum della Yale University, ha utilizzato i grandi telescopi dell’Osservatorio Keck alle Hawaii per confermare l’esistenza di una nuova classe di galassie, denominata Ultra Diffuse Galaxies (UDGs), i cui membri presentano la distribuzione di stelle più sparsa che si conosca.

Questi “batuffoli” cosmici hanno estensioni quasi pari a quella della Via Lattea, circa 60.000 anni luce, possedendo però solo l’uno per cento delle stelle rispetto a galassie come la nostra. I risultati di questa ricerca sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Astrophysical Journal Letters.

«Se la Via Lattea fosse un mare di stelle, allora queste galassie appena scoperte sarebbero nuvole», spiega van Dokkum. «Stiamo cominciando a formarci un’idea su come siano nate, ed è veramente straordinario il fatto che siano riuscite a sopravvivere a tutto. Si trovano, infatti, in una densa e violenta regione dello spazio, piena zeppa di materia oscura e galassie che sfrecciano tutt’intorno; quindi riteniamo che debbano essere ammantate di uno scudo invisibile di materia oscura che le protegge da questo assalto intergalattico».

Le 47 nuove “vaporose” galassie sono state scoperte da van Dokkum e colleghi lo scorso novembre nell’Ammasso della Chiomaun raggruppamento di migliaia tra galassie grandi e piccole – con un telescopio assai particolare, il Dragonfly Telephoto Array, appositamente progettato per individuare deboli e poco definiti grumi di stelle.

Una serie di “blob” non identificati erano stati scoperti nell’Ammasso della Chioma. Uno di questi misteriosi oggetti, Dragonfly 44, è stato studiato in dettaglio, confermando che si tratta di una galassia ultra diffusa. Crediti: Credit: P. van Dokkum, R. Abraham, J. Brodie

Una serie di “blob” non identificati erano stati scoperti nell’Ammasso della Chioma. Uno di questi misteriosi oggetti, Dragonfly 44, è stato studiato in dettaglio, confermando che si tratta di una galassia ultra diffusa. Crediti: P. van Dokkum, R. Abraham, J. Brodie

 

La scoperta ha fatto rimanere di stucco i ricercatori, che dovevano però compiere ulteriori verifiche, in particolare per determinarne la distanza esatta. Un dato decisivo che ora è stato ottenuto grazie allo spettrografo LRIS montato su uno dei telescopi gemelli Keck.

Nelle delicate iridescenze spettrali delle nuove galassie Dragonfly (libellula), van Dokkum e colleghi hanno letto che questi blob sono molto grandi e molto distanti, circa 300 milioni di anni luce. Si può dunque parlare di una nuova classe di galassie “ultra diffuse”.

«Gli abitanti di un pianeta all’interno di una galassia ultra diffusa non vedrebbero alcuna fascia luminosa nel cielo, come noi vediamo la Via Lattea. Non avrebbero modo di dire che vivono in una galassia, e il loro cielo notturno sarebbe molto più vuoto di stelle», dice il membro del team Aaron Romanowsky della San Jose State University.

«I nostri radi oggetti vanno ad aggiungersi alla grande varietà di tipi di galassie precedentemente noti, dalle ellittiche giganti, dalle dimensioni che offuscano la Via Lattea, alle nane ultra compatti», aggiunge Jean Brodie della University of California.

Spettro della luce proveniente dalla galassia ultra diffusa Dragonfly 44. Le bande scure (righe di assorbimento) rivelano la composizione chimica e l’età delle stelle, nonché la distanza della galassia.  Crediti: P. VAN DOKKUM, A. ROMANOWSKY, J. BRODIE

Spettro della luce proveniente dalla galassia ultra diffusa Dragonfly 44. Le bande scure (righe di assorbimento) rivelano la composizione chimica e l’età delle stelle, nonché la distanza della galassia. Crediti: P. van Dokkum, A. Romanowsky, J. Brodie

Secondo i ricercatori, il prossimo passo fondamentale nella comprensione delle galassie ultra diffuse è definire esattamente quanta materia oscura contengano.

«La grande sfida è ora quella di capire da dove provengano questi oggetti misteriosi», dice in conclusione Roberto Abraham della University of Toronto, elencando gli interrogativi che si trovano ad affrontare in seguito alla nuova scoperta. «Si tratta di galassie “fallite”, che sono partite bene e poi sono rimaste a corto di benzina? Oppure erano galassie “normali” che sono state talmente tartassate all’interno dell’Ammasso della Chioma da risultarne svuotate? O sono pezzi di galassie più grandi, strappati via e poi persi nello spazio? ».

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