Da anni ormai gli esperti credono che un’intensa attività vulcanica legata all’esistenza delle placche tettoniche porti un pianeta extrasolare a essere un buon candidato per ospitare (o aver ospitato) la vita. È proprio il nucleo caldo (si raggiungono temperature altissime) e le attività sotterranee che permetterebbero ai mattoni essenziali per la vita di formarsi e svilupparsi (come è accaduto sulla Terra).
Ogni giorno gli astronomi scrutano il cielo alla ricerca di pianeti ospitali per la vita come la conosciamo noi. La “caccia al tesoro” non è una passeggiata, perché molto spesso le ricerche vanno a vuoto e si fanno dei gran “buchi nell’acqua”. Per questo gli esperti devono porsi dei target ben precisi, devono conoscere esattamente cosa andare a cercare e come. In questo caso un gruppo di ricercatori dell’Università di Washington ha trovato un modo per localizzare l’attività vulcanica proprio nelle atmosfere degli esopianeti con il metodo del transito, quando passano cioé davanti alla loro stella madre bloccandone la luce. I risultati, pubblicati di recente sulla rivista Astrobiology, sono utili sia nella scelta di quali “mondi alieni” scegliere per futuri studi, ma anche per capire – un giorno – se questi candidati sono abitabili e se mai siano stati abitati.
Come detto, il vulcanismo è un fattore chiave affinché un pianeta venga inserito nell’albo d’oro dei mondi abitabili e quindi interessanti per noi terrestri, perché il degassamento vulcanico (fenomeno che si può ammirare anche sulla Terra) aiuta a mantenere delle temperature miti in superficie, moderando e regolando anche l’atmosfera con il circolo dei gas (come l’anidride carbonica) dal mantello. Amit Misra ha raccontato che l’idea dello studio è partita dalla ricerca di placche (o zolle) tettoniche su mondi lontani dal nostro. Proprio il modello della tettonica delle placche è considerato da molti un aiuto all’origine della vita (per alcuni è proprio il fenomeno che ha dato il via alla nostra vita) perché permette il ricircolo e riciclo dei materiali dall’atmosfera al sottosuolo.
Al vaglio degli studenti sono passati diversi modelli per prevedere se alcuni esopianeti abbiano o meno zolle tettoniche, ma in passato è stato fatto poco in questo campo. I ricercatori hanno quindi dovuto creare un nuovo modello, da zero. Misra ha spiegato: «Mi è venuta l’idea di guardare le eruzioni vulcaniche esplosive come un “sostituto” della tettonica a zolle. Avevo già lavorato a diversi aerosol prodotti dalle eruzioni vulcaniche per altri progetti, così ho iniziato a cercare in che modo si potrebbe rilevare un’eruzione e che cosa ci potrebbe dire».
Gli studenti hanno quindi usato i dati raccolti sulla Terra per predire il comportamento delle eruzioni su pianeti terrestri (quindi rocciosi) lontani: le eruzioni vulcaniche esplosive di solito si verificano ai bordi delle placche tettoniche, per questo vengono prese come indicatori su altri pianeti. Durante le eruzioni vulcaniche i gas vengono lanciati verso l’atmosfera «interessando notevolmente lo spettro del pianeta», ha detto il primo autore dello studio. Questi segnali, in futuro, saranno perfettamente visibili con strumenti come il James Webb Space Telescope, il cui lancio è previsto per il 2018.
Nonostante queste teorie, la pratica potrebbe essere diversa. Misra ha tenuto a spiegare che la connessione tra le eruzioni vulcaniche e la tettonica delle placche esiste sicuramente sulla Terra, ma non ne possono essere ancora certi quando si parla di pianeti extrasolari (per adesso osservabili solo da molto lontano o studiati addirittura con modelli al computer). In ogni caso l’attività vulcaniche possono dirci molto, come anche i flussi di aerosol. «Se possiamo rilevare un’eruzione vulcanica su un altro pianeta nella zona abitabile, questo può entrare nella lista dei target potenziali dove cercare la vita».
Come detto, i risultati potrebbero anche dire agli astronomi se un pianeta è mai stato abitato da qualche forma di vita microbica. Questo studiando il comportamento l’ossigeno e i tipi di ossigeno presenti sul pianeta. Misra ha sottolineato che il vulcanismo può aiutare a distinguere tra l’ossigeno prodotto da esseri viventi e quello prodotto da altri processi planetari.
Per saperne di più:
Lo studio è stato pubblicato su Astrobiology: “Transient Sulfate Aerosols as a Signature of Exoplanet Volcanism”, di Misra Amit, Krissansen-Totton Joshua, Koehler Matthew C., e Sholes Steven