Premuroso come il figlio che tutte le Rosette del mondo vorrebbero, Philae ha ritelefonato. Due volte in due giorni. Anzi, in due notti. Dopo averci fatto stare in pena per sette interminabili mesi, pare proprio che il nostro robot spaziale preferito stia bene e sia finalmente pronto a rimettersi all’opera, ora che il bacio del Sole sui pannelli fotovoltaici lo ha strappato al suo lungo sonno. E se il primo contatto, quello di sabato 13 giugno, ha colto di sorpresa e fatto saltare di gioia tutti gli scienziati del team, quello attesissimo di ieri notte, domenica 14, ci si augura possa segnare l’inizio di un’auspicabile routine – anche se accanto a Philae la parola routine è quanto meno un ossimoro.
Ma veniamo al contatto di ieri notte. Una toccata e fuga, quattro minuti d’orologio appena: dalle 23:22 alle 23:26. Pur lungo oltre il doppio di quello del giorno prima, durato 85 secondi, è stato comunque uno scambio breve [aggiornamento: l’Esa riferisce che il tempo d’invio effettivo di dati è stato di pochi secondi] e non del tutto soddisfacente anche per il responsabile del progetto presso la DLR, Stephan Ulamec: «Questa volta il collegamento è stato relativamente instabile», ammette. Insomma, per mettere le mani su quegli 8000 e passa pacchetti di dati conservati nella memoria di massa del lander occorrerà pazientare ancora un po’.
Life on #67P is good, @ESA_Rosetta. About 3 hrs sunlight a day & feeling energised! More from my team #lifeonacomet http://t.co/ze2aYzBdC3
— Philae Lander (@Philae2014) June 15, 2015
D’altronde, sta accadendo tutto molto in fretta. E se fino a due giorni fa il risveglio era solo una speranza e Philae non si sapeva nemmeno bene dove fosse, ora gli ingegneri della missione stanno freneticamente calcolando come modificare la traiettoria di Rosetta attorno alla cometa Churyumov-Gerasimenko così da aumentare al massimo, fra un’orbita e l’altra, la durata della finestra di visibilità tra orbiter e lander.
E anche sul versante scientifico l’attività ferve. Da quali esperimenti ripartire, una volta che la connessione sarà sufficientemente stabile? Qui entra in gioco la disponibilità energetica. Perché se è vero che la temperatura in progressivo aumento e l’esposizione al Sole – stimata ora in almeno tre ore per ogni giorno cometario – lasciano ben sperare, la precaria (per usare un eufemismo) situazione logistica di Philae, appeso alla parete d’un crepaccio su una cometa in rotta verso il Sole a 304 milioni di km dalla Terra, non consente il benché minimo azzardo.
L’ordine in cui gli strumenti rientreranno in azione sarà dunque stabilito con cautela e solo quando si avranno informazioni complete sullo stato di salute di ognuno. In ogni caso, per il trapano italiano SD2 ci sarà da attendere. «Useremo per primi gli strumenti non meccanici, dunque non quelli che martellano o perforano», anticipa infatti Ulamec.
Priorità dunque agli esperimenti che consumano poca energia e che non implicano una grossa mole di dati da inviare verso la Terra. Come, per esempio, i due “nasi” del lander, COSAC e Ptolemy, che seppur solo in sniffing mode (senza campioni di terreno forniti dal trapano) potrebbero sfruttare al meglio la situazione tanto imprevista quanto scientificamente ghiotta nella quale si ritrovano: a bordo d’una cometa che, correndo verso il Sole, si sta facendo sempre più attiva. Un’opportunità che mai s’era presentata prima nella storia dell’esplorazione del Sistema solare, e forse mai sognata nemmeno dagli stessi scienziati della missione, considerando i rocamboleschi fuori programma con i quali Philae non smette di stupirci.