SPECIALE ESOPIANETI 1

Beta Pictoris e Beta Pictoris b in 3D

Grazie ad un nuovo modello in tre dimensioni, sviluppato dalla NASA con un supercomputer, è stato possibile osservare le onde a spirale provocate dal passaggio di un pianeta all'interno del disco di detriti attorno alla stella Beta Pictoris e comprendere meglio il comportamento dei detriti stessi. Ora occorrerà cercare ancora per capire se il comportamento del disco sia influenzato dalla presenza di un altro pianeta ancora ignoto.

     26/06/2015

Una simulazione in tre dimensioni del comportamento del pianeta extrasolare Beta Pictoris b e del disco di detriti che circonda la stella Beta Pictoris, che la NASA ha sviluppato grazie ad un supercomputer, rivela che il movimento del pianeta provoca delle onde a spirale che attraversano il disco, e che tale fenomeno sarebbe alla base di collisioni tra i detriti in orbita. Lo schema delle collisioni e la polvere che ne risulta sembrano spiegare molte caratteristiche note, che le precedenti ricerche non erano riuscite a far comprendere pienamente.

Queste immagini confrontano una vista della stella Beta Pictoris in luce diffusa come vista  dal telescopio spaziale Hubble (in alto), con una vista simile costruita con i dati ottenuti grazie alla simulazione SMACK (overlay rosso, in basso).  Credits: sopra, NASA/ESA and D. Golimowski (Johns Hopkins Univ.); sotto, NASA Goddard/E. Nesvold and M. Kuchner

Queste immagini confrontano una vista della stella Beta Pictoris in luce diffusa come vista dal telescopio spaziale Hubble (in alto), con una vista simile costruita con i dati ottenuti grazie alla simulazione SMACK (overlay rosso, in basso).
Credits: sopra, NASA/ESA and D. Golimowski (Johns Hopkins Univ.); sotto, NASA Goddard/E. Nesvold and M. Kuchner

«Abbiamo essenzialmente creato un modello virtuale della stella Beta Pictoris e abbiamo così potuto osservare la sua evoluzione nel corso di milioni di anni”, dice Erika Nesvold, astrofisica presso l’Università del Maryland, che ha co-sviluppato la simulazione. “Questo è il primo modello tridimensionale di un disco di detriti dove possiamo vedere lo sviluppo di caratteristiche asimmetriche provocate da pianeti, come deformazioni e anelli eccentrici, e allo stesso tempo monitorare le collisioni tra le particelle».

Nel 1984, Beta Pictoris è stata la seconda stella attorno alla quale si è potuto osservare un disco luminoso di polvere e detriti. Situata a soli 63 anni luce di distanza dalla Terra, Beta Pictoris ha un’età stimata di 21 milioni di anni, neanche mezzo centesimo dell’età del nostro Sistema solare. Grazie alle sue caratteristiche offre agli astronomi un posto in prima fila per poter osservare l’evoluzione di un giovane sistema planetario, ed è infatti uno dei più vicini, più giovani e più studiati di oggi. Il disco osservabile  intorno alla stella contiene frammenti di roccia e ghiaccio che hanno una grandezza variabile: da oggetti grandi come palazzi a grani microscopici. Si tratta di una versione più giovane della regione transnettuniana ai margini del nostro sistema planetario.

Erika Nesvold e il suo collega Marc Kuchner, astrofisico presso il Goddard Space Flight Center della NASA, ha presentato i risultati ottenuti lo scorso giovedì a Montreal, nel corso della conferenza “In the Spirit of Lyot 2015”, incentrata sulla rilevazione diretta di pianeti e dei dischi che circondano stelle lontane. La ricerca è stata presentata su The Astrophysical Journal.

Nel 2009, gli astronomi hanno confermato l’esistenza nel disco di detriti intorno a Beta Pictoris di Beta Pictoris b, un pianeta con una massa stimata di circa nove volte quella di Giove. Beta Pictoris b impiega circa 20 anni per orbitare attorno alla propria stella, ed ha una distanza dalla sua stella simile a quella che ha Saturno dal nostro Sole.

Immagini simulate del disco di Beta Pictoris in luce diffusa, moltiplicato per la distanza della stella al quadrato. La polvere non mostra lo stesso deficit nella regione interna del disco come i grani di dimensioni  millimetriche. La vista di taglio del pannello inferiore evidenzia la forma a X dei due dischi, così come appare nelle immagini di Hubble

Immagini simulate del disco di Beta Pictoris in luce diffusa, moltiplicato per la distanza della stella al quadrato. La polvere non mostra lo stesso deficit nella regione interna del disco come i grani di dimensioni millimetriche. La vista di taglio del pannello inferiore evidenzia la forma a X dei due dischi, così come appare nelle immagini di Hubble. Credits: NASA Goddard/E. Nesvold and M. Kuchner

Gli astronomi hanno avuto difficoltà a spiegare varie caratteristiche osservate nel disco, tra cui una deformazione osservabile a lunghezze d’onda submillimetriche, uno schema a forma di X osservabile in luce diffusa, e vaste macchie di monossido di carbonio (vedi qui quanto già riportato su MediaInaf). Elemento molto comune nelle comete, le molecole di monossido di carbonio vengono distrutte dalla luce ultravioletta delle stelle in poche centinaia di anni.

Una possibile spiegazione data dai ricercatori sul motivo per cui il gas sia osservabile in ammassi sarebbe la presenza di detriti di ghiaccio attorno ad un secondo pianeta non ancora osservato, che causerebbe quindi un elevato numero di collisioni tra detriti ghiacciati, con la conseguente produzione di monossido di carbonio. Altra spiegazione possibile è che il gas evidenzi il risultato di una straordinaria collisione di mondi ghiacciati, di una grandezza pari a quella di Marte.

«La nostra simulazione suggerisce come molte di queste caratteristiche possano essere facilmente spiegate dalla collisione di una coppia di onde a spirale, eccitate nel disco di detriti dal moto e dalla gravità di Beta Pictoris b», ha detto Kuchner. «Proprio come qualcuno che spari una palla di cannone in una piscina, il pianeta ha provocato grandi cambiamenti nella cintura asteroidale una volta raggiunta l’attuale orbita».

Osservare con attenzione migliaia di particelle in frammentazione nel corso di milioni di anni è un compito arduo da un punto di vista computazionale. I modelli esistenti non hanno avuto la necessaria stabilità per un tempo sufficientemente lungo o contenevano approssimazioni tali da mascherare alcune delle strutture che Nesvold e Kuchner stavano cercando.

Collaborando con Margaret Pan e Hanno Rein, entrambi dell’Università di Toronto, hanno sviluppato un metodo nel quale ogni particella nella simulazione rappresenta un gruppo di corpi con una gamma di formati e moti simili. Tracciando il modo in cui queste “superparticelle” interagiscono, hanno potuto vedere come le collisioni tra migliaia di miliardi di frammenti producano polveri e, in combinazione con le altre forze nel disco, come queste polveri vengano modellate nelle forme osservate dai telescopi. La tecnica usata, chiamata, Superparticle-Method Algorithm for Collisions in Kuiper belts (SMACK), riduce tra l’altro in modo notevole il tempo necessario per eseguire calcoli così complessi.

Utilizzando il supercomputer Discover gestito dal NASA Center for Climate Simulation, il modello SMACK di Beta Pictoris ha lavorato per 11 giorni e monitorato l’evoluzione di 100.000 superparticelle nell’arco di vita del disco.

Il pianeta si muove lungo un’orbita inclinata e attraversa il disco di detriti per due volte durante il periodo di rotazione intorno alla stella madre. La sua gravità provoca un’onda a spirale verticale nel disco. I detriti si concentrano nelle creste e negli avvallamenti delle onde e si scontrano più spesso in loro corrispondenza, fornendo così una spiegazione al motivo a forma di X osservato nella polvere e aiutando a spiegare la presenza dei grumi di monossido di carbonio.

L’orbita del pianeta è anche leggermente eccentrica, il che significa che la sua distanza dalla stella varia un po’ ad ogni passaggio. Questo movimento smuove i detriti e provoca una seconda ondata sulla faccia del disco. Questa perturbazione aumenta le collisioni nelle regioni interne del disco, contribuendo ad eliminare i frammenti più grandi, che vengono in pratica macinati. Nel disco reale, gli astronomi segnalano effettivamente un’area sgombra dai detriti di grandi dimensioni in prossimità della stella.

«Una delle domande assillanti su Beta Pictoris è come il pianeta sia finito in un’orbita così strana», ha spiegato Nesvold. «La nostra simulazione suggerisce che sia arrivato là circa 10 milioni di anni fa, forse dopo aver interagito con altri pianeti in orbita intorno alla stella, pianeti che però non abbiamo ancora individuato».