Le osservazioni del telescopio ALMA (Atacama Large Millimeter-submillimeter Array) dell’European Southern Observatory (ESO) hanno permesso di individuare le più lontane nubi di gas contenenti stelle in formazione all’interno di galassie nell’universo primordiale, spingendosi a un’epoca di ‘appena’ 800 milioni di anni dopo il Big Bang. Con queste osservazioni gli astronomi hanno la possibilità di vedere come hanno preso forma le prime galassie e come queste abbiano ionizzato l’idrogeno neutro che permeava l’universo, rendendolo di nuovo trasparente alla radiazione elettromagnetica nell’epoca che prende il nome di “era della reionizzazione”. Ma non solo: queste misure super dettagliate hanno permesso di identificare per la prima volta delle strutture di gas, polveri e stelle all’interno di oggetti celesti così lontani.
A guidare il team internazionale di astronomi che ha condotto le indagini, tra cui alcuni italiani e dell’INAF, è stato Roberto Maiolino del Cavendish Laboratory e Kavli Institute for Cosmology presso l’Università di Cambridge, nel Regno Unito. La scoperta è partita dalle osservazioni condotte con ALMA, dedicate alla ricerca delle flebili emissioni del carbonio ionizzato provenienti da lontane nubi di gas in cui si stavano formando nuove stelle. L’obiettivo era studiare l’interazione tra la generazione di stelle giovani e ammassi di gas freddo da cui si stavano formando le prime galassie che, con la loro radiazione, hanno contribuito a reionizzare l’universo.
Per una di queste galassie – la cui sigla è BDF2399 – ALMA è riuscito a captare il debole segnale prodotto dal carbonio e addirittura a riconoscere che la sua origine non era nel centro della galassia, ma in una zona periferica. «Questa è l’identificazione del più distante segnale prodotto dal carbonio in una galassia “normale”, a meno di un miliardo di anni dopo il Big Bang», ha spiegato Andrea Ferrara, della Scuola Normale Superiore di Pisa e membro del Consiglio di Amministrazione dell’INAF, che ha partecipato allo studio pubblicato oggi in un articolo sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. «Questo risultato ci dà l’opportunità di osservare il processo di formazione delle prime galassie. Per la prima volta stiamo vedendo galassie primordiali non come ammassi indistinti di materia, ma come oggetti dotati di una struttura interna».
Secondo gli astronomi l’emissione così decentrata del carbonio registrata in BDF2399 è dovuta al fatto che le nuvole di gas nelle regioni centrali della galassia possono essere disgregate dalla radiazione prodotta da giovani stelle o esplosioni di supernovae che si addensano in quelle zone.
Combinando le nuove osservazioni di ALMA con simulazioni al computer, è stato possibile capire in dettaglio i processi evolutivi nelle galassie primordiali. Gli effetti della radiazione emessa dalle stelle, la sopravvivenza delle nubi molecolari, l’emissione di radiazione ionizzante e la complessa struttura del mezzo interstellare possono ora essere calcolati e confrontati con le osservazioni. E secondo i ricercatori, la galassia BDF2399 è probabilmente una tipica sorgente che ha contribuito al processo di reionizzazione.
«Questo risultato è il completamento di un lungo lavoro di ricerca e selezione di queste lontanissime galassie che il nostro gruppo di ricerca dell’INAF ha iniziato 6 anni fa, sempre usando telescopi dell’ESO», ha commentato Adriano Fontana, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Roma, che ha partecipato all’indagine. «Adesso progettiamo di applicare la stessa tecnica per osservare le altre galassie del nostro campione».
Per Roberto Maiolino «questo studio sarebbe stato semplicemente impossibile senza ALMA, poiché nessun altro strumento potrebbe raggiungere la sensibilità e la risoluzione spaziale necessaria. Anche se questa è una delle osservazioni più profonde realizzate fino ad oggi, ALMA non ha raggiunto i suoi limiti. In futuro, questo formidabile strumento riuscirà ad osservare la struttura dettagliata delle galassie primordiali e seguire in modo accurato la formazione delle primissime galassie».
Nel team che ha condotto lo studio guidato da Roberto Maiolino, oltre ad Andrea Ferrara e Adriano Fontana hanno partecipato anche Laura Pentericci, Andrea Grazian, Marco Castellano e Paola Santini (INAF-Osservatorio Astronomico di Roma), Eros Vanzella (INAF-Osservatorio Astronomico di Bologna), Stefano Cristiani (INAF-Osservatorio Astronomico di Trieste), Livia Vallini (Scuola Normale Superiore, Pisa, Università di Bologna e associata INAF), Simona Gallerani (Scuola Normale Superiore, Pisa e associata INAF) e Stefano Carniani (Cavendish Laboratory – Kavli Institute for Cosmology, Università di Cambridge, Regno Unito e Università di Firenze, associato INAF).
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