In un articolo apparso su Physical Review D, Christopher Moore e Jonathan Gair dell’Institute of Astronomy a Cambridge (UK), fanno il punto su come le osservazioni X permettano di esplorare il campo gravitazionale attorno a un buco nero allo scopo di verificare se esistono delle deviazioni dalla relatività generale. I risultati di questo studio suggeriscono che teorie alternative sulla gravità predicono la possibilità di rivelare l’esistenza di eventuali “picchi” di emissione identificabili in banda X.
Poco prima di essere “inghiottita”, la materia in caduta libera verso il buco nero emettere un segnale X da cui gli astronomi sono in grado di ricavare una serie di informazioni sul campo gravitazionale. E’ l’ipotesi che sta alla base di un nuovo studio teorico che riguarda l’emissione termica dai dischi di accrescimento che si formano attorno ai buchi neri. In questo lavoro, i due ricercatori mostrano come modelli alternativi della gravità possano predire un’emissione in banda X leggermente differente proveniente dal disco. Il problema, però, sta nell’identificare questo segnale.
Finora, la nostra migliore comprensione dell’astrofisica dei buchi neri si basa sulla relatività generale, la teoria di Einstein che è stata ben verificata sperimentalmente anche in condizioni di gravità relativamente debole. Tuttavia, non è ancora chiaro se la relatività generale vale ancora quando la forza di gravità diventa molto intensa, come nel caso, appunto, di un campo gravitazionale prodotto da un buco nero. Esistono, però, modelli alternativi che predicono che lo spaziotempo nelle vicinanze di un buco nero differisca sensibilmente da quello descritto da Einstein e che per deformare una metrica di Kerr, cioè la geometria dello spaziotempo attorno a un buco nero ruotante, bisogna aggiungere qualche tipo di “deformazione”.
Nel loro articolo, Moore e Gair propongono un metodo per individuare in maniera sistematica la presenza di qualche eventuale deviazione dalla relatività generale. Partendo dal fatto che le collisioni tra le particelle di gas presenti nel disco di accrescimento determinano un surriscaldamento del gas con conseguente emissione di raggi X, è possibile rivelare nello spettro di emissione delle righe distinte che sono plasmate dall’ambiente da cui esse si originano e dove il campo gravitazionale risulta estremamente elevato.
Moore e Gair sono convinti che la radiazione X, associata in particolare alla riga K-alfa del ferro, possa agire come una sorta di “sonda” attraverso la quale si può esplorare il campo gravitazionale prodotto dal buco nero. I ricercatori hanno eseguito tutta una serie di calcoli per vedere quale potrebbe essere l’emissione X aspettata, analizzando quei particolari casi riconducibili alla presenza di eventuali deviazioni nel tessuto dello spaziotempo rispetto alle previsioni fornite dalla relatività generale. Gli autori trovano che nella maggior parte dei casi l’effetto di un “picco” nell’emissione X è ancora troppo piccolo per essere osservato anche se alcuni modelli predicono che questo segnale possa essere potenzialmente rivelabile.
«Il lavoro di Moore e Gair è eccellente ma ha delle serie limitazioni», spiega a Media INAF Emanuele Berti, professore associato presso l’Università del Mississippi, FCT Investigator a Lisbona (Portogallo) e visiting associate professor al California Institute of Technology. «Il metodo che propongono i due ricercatori per verificare se i buchi neri sono descritti dalla metrica di Kerr è basato sulle osservazioni della linea del ferro e dell’emissione termica da parte del disco di accrescimento. Questi metodi vengono usati anche per misurare lo spin dei buchi neri ma il problema sta nel fatto che ci sono delle grosse incertezze sistematiche nei modelli di emissione. Queste incertezze danno generalmente grossi errori anche nella misura degli spin assumendo che la teoria della relatività generale sia corretta. Se ci sono deviazioni dalla relatività generale ci aspettiamo che esse siano piccole, e l’opinione generale è attualmente che gli errori sistematici siano troppo grandi per permettere di osservare deviazioni dalla teoria di Einstein».
«Un punto più cruciale è che la metrica di Kerr è una soluzione sia nella relatività generale che in molte teorie alternative. Quindi se anche dovessimo verificare che i cosiddetti ‘buchi neri deformati’ di questo lavoro hanno ‘picchi infinitesimali’, non avremmo eliminato nessuna delle teorie in cui Kerr è una soluzione, e ce ne sono tante! In questo senso, il modo più promettente di verificare la relatività generale è quello di studiare la dinamica dei buchi neri, non semplicemente di controllare se le soluzioni stazionarie sono descritte dalla metrica di Kerr. Questo è precisamente quello che speriamo di fare in futuro con la rivelazione delle onde gravitazionali», conclude Berti.
Physical Review D: Christopher J. Moore and Jonathan R. Gair – Testing the no-hair property of black holes with x-ray observations of accretion disks
arXiv: Testing the “no-hair” property of black holes with X-ray observations of accretion disks