Il WM Keck Observatory alle Hawaii e il Telescopio Spaziale Hubble della NASA hanno ottenuto conferme indipendenti della scoperta di un pianeta extrasolare gigante su un’orbita lontana dalla sua stella ospite. Il pianeta è stato scoperto attraverso una tecnica chiamata microlensing gravitazionale. Questa scoperta apre nuove frontiere nella caccia ai pianeti extrasolari giganti, come Giove e Saturno nel Sistema Solare. I risultati di Hubble e Keck sono stati pubblicati in due articoli apparsi sull’edizione del 30 luglio della rivista The Astrophysical Journal.
La grande maggioranza dei pianeti extrasolari scoperti finora sono molto vicini alla loro stella, perché gran parte delle tecniche di scoperta attuali favoriscono l’osservazione di segnali provenienti da pianeti con orbite brevi. Ma questo non è vero se si utilizza la tecnica microlensing, che permette di scoprire pianeti più distanti e freddi, su orbite di lungo periodo.
Il microlensing gravitazionale si verifica quando una stella prospetticamente in primo piano amplifica la luce di una stella che si trova momenaneamente sullo sfondo. Se la stella in primo piano ospita un sistema planetario, anche i pianeti possono contribuire ad amplificare la luce della stella di sfondo, ma lo faranno per un tempo molto più breve rispetto alla loro stella ospite. La durata di un intero evento di microlensing è di diversi mesi, mentre la variazione di luminosità dovuta ad un pianeta dura da alcune ore fino a un paio di giorni. Informazioni precise sui tempi di arrivo del segnale e sull’entità di amplificazione della luce possono fornire indizi sulla natura della stella in primo piano e sui suoi pianeti.
«Il microlensing è attualmente l’unico metodo per poter rilevare i pianeti vicini al loro luogo di nascita», ha dichiarato Jean-Philippe Beaulieu dell’Institut d’Astrophysique di Parigi. «Infatti i pianeti si formano solitamente a una certa distanza dalla stella centrale, dove l’ambiente è sufficientemente freddo da permettere ai composti volatili di condensare in grani di ghiaccio solidi. Questi grani potranno poi aggregarsi e finiranno per evolvere in pianeti».
Il sistema catalogato come OGLE-2005-BLG-169 è stato scoperto nel 2005 dalla collaborazione tra l’Optical Gravitational Lensing Experiment (OGLE), il Microlensing Follow-Up Network (MicroFUN), e alcuni membri del Microlensing Observations in Astrophysics (MOA), tutti gruppi che cercano pianeti extrasolari attraverso la tecnica del microlensing gravitazionale.
Senza poter identificare e caratterizzare la stella in primo piano, tuttavia, gli astronomi hanno avuto difficoltà nel determinare le proprietà fisiche del pianeta. Utilizzando il telescopio Hubble e l’Osservatorio Keck, due team di astronomi hanno scoperto che il sistema è costituito da un pianeta delle dimensioni di Urano in orbita a circa 600 milioni di km dalla sua stella madre, un po’ meno rispetto alla distanza media tra Giove e il Sole. La stella ospite, però, è circa il 70% più massiccia del nostro Sole.
«Questi allineamenti sono rari, si verificano solo una volta ogni milione anni per un determinato pianeta, così abbiamo pensato che sarebbe stata necessaria un’attesa molto lunga prima che il segnale microlensing planetario potesse essere confermato», ha spiegato David Bennett, a capo del team che ha analizzato i dati di Hubble. «Fortunatamente, il segnale planetario ci permette di prevedere quanto tempo occorre affinché le posizioni apparenti della stella di fondo e di quella in primo piano si separino tra loro, e le nostre osservazioni hanno confermato questa previsione. I dati del Keck e di Hubble, quindi, ci hanno fornito la prima conferma osservativa di un segnale di microlensing planetario».
In realtà, il microlensing è uno strumento così potente da essere in grado di scoprire pianeti la cui stella ospite non può essere osservata dalla maggior parte dei telescopi a nostra disposizione. «È notevole pensare che siamo in grado di individuare pianeti in orbita attorno a stelle invisibili, e sarebbe molto interessante saperne qualcosa di più circa le stelle attorno a cui orbitano questi pianeti», ha spiegato Virginie Batista, che ha coordinato l’analisi dei dati provenienti dal Keck. «I telescopi Keck e Hubble ci permettono di individuare queste deboli stelle che ospitano sistemi planetari e di determinare le loro proprietà».
I pianeti sono piccoli e deboli rispetto ai loro stella, per questo sono pochi quelli che siamo riusciti ad osservare direttamente al fuori del nostro sistema solare. Gli astronomi spesso si basano su due tecniche indirette per la ricerca di pianeti extrasolari. Il primo metodo rileva i pianeti sfruttando i deboli effetti gravitazionali che questi esercitano sulla loro stella ospite. Una seconda tecnica si basa sulla ricerca di piccoli avvallamenti nella quantità di luce proveniente da una stella dovuti al passaggio del pianeta davanti al disco stellare.
Entrambe queste tecniche funzionano meglio quando i pianeti sono o estremamente massicci o quando hanno orbite molto vicine alle loro stelle madri. In questi casi, gli astronomi possono determinare in modo piuttosto affidabile i loro periodi orbitali, che vanno da ore a giorni, fino a un paio d’anni.
Ma per comprendere appieno la struttura dei sistemi planetari distanti, gli astronomi devono poter mappare l’intera distribuzione di pianeti intorno ad una stella. Gli astronomi, quindi, hanno bisogno di poter osservare oggetti a grandi distanze dalla, circa alla distanza di Giove dal nostro Sole, e anche più lontano.
«È importante capire quanto questi sistemi planetari siano differenti dal nostro sistema solare», ha detto Jay Anderson, dello Space Telescope Science Institute di Baltimora. «Quindi abbiamo bisogno di un censimento il più possibile completo di questi pianeti extrasolari. La tecnica del microlensing gravitazionale è fondamentale per migliorare le nostre conoscenze in materia di modelli di formazione planetaria».
Il pianeta del sistema OGLE potrebbe rappresentare un esempio di pianeta “quasi gioviano“, un oggetto che comincia a formare un nucleo simile a quello di Giove, con roccia e ghiaccio e con una massa circa 10 volte quella terrestre, ma poi non riesce a crescere abbastanza velocemente per raccogliere sufficienti quantità di idrogeno ed elio. Così finisce per avere una massa oltre 20 volte inferiore a quella di Giove. «Si stima che i pianeti quasi gioviani come OGLE-2005-BLG-169Lb siano più comuni di quanto non lo sia Giove, soprattutto attorno a stelle meno massicce del Sole. Quindi questo tipo di pianeta dovrebbe essere molto comune», ha spiegato Bennett.
I dati iniziali di microlensing relativi a OGLE-2005-BLG-169 avevano indicato un sistema composto da una stella in primo piano, una sullo sfondo, più un pianeta. Ma a causa degli effetti di sfocatura dovuti alla turbolenza della nostra atmosfera, un certo numero di stelle separate tra loro possono trovarsi ad essere sovrapposte l’una all’altra, specialmente in campi affollati come in direzione del centro della galassia. «Il telescopio Hubble e il Keck sono strutture uniche, che forniscono osservazioni con risoluzioni angolari molto alte, che ci permettono di caratterizzare questi pianeti freddi in orbita attorno a stelle molto distanti», ha detto Beaulieu.
Le immagini estremamente nitide di Hubble e Keck hanno infatti permesso ai ricercatori di risolvere separatamente la stella di fondo dalle stelle vicine, nel campo molto affollato in direzione del centro della nostra galassia. Anche se le immagini raccolte da Hubble risalgono a 6.5 anni dopo l’evento di lensing, le due stelle si trovavano ancora così vicine, che le loro immagini si fondevano in quella che sembrava un’unica stella allungata.
A partire dall’immagine allungata gli astronomi sono stati in grado di misurare le luminosità individuali delle due stelle. Combinando queste informazioni con la curva di luce di microlensing, la luminosità della stella in primo piano rivela le masse e la separazione orbitale del pianeta e la sua stella ospite, così come la distanza del sistema planetario dalla Terra. In questo caso le due stelle sono state osservate con diversi filtri di colore dell’Hubble Wide Field Camera 3 (WFC3), permettendo di ottenere conferme indipendenti delle misure di massa e di distanza.
I dati raccolti più di otto anni dopo l’evento di microlensing con la Near Infrared Camera 2 (NIRC2) del Keck 2 hanno fornito una misura precisa del moto relativo tra la stella in primo piano e quella di sfondo. «È la prima volta che siamo in grado di risolvere completamente le due stelle dopo un evento di microlensing. Questo ci ha permesso di discriminare tra due modelli che prevedono la forma attesa per la curva di luce di microlensing», ha spiegato Batista.
I dati ottenuti dai telescopi Hubble e Keck stanno fornendo prove a sostegno del metodo di ricerca di pianeti extrasolari che verrà applicato nel progetto spaziale della NASA Wide-Field Infrared Survey Telescope (WFIRST). WFIRST sfrutterà una nitidezza di immagini paragonabile a quella di Hubble per effettuare ricerca di pianeti extrasolari con la tecnica del microlensing. Il telescopio spaziale sarà in grado di osservare stelle in primo piano che ospitano pianeti anche durante l’avvicinamento prospettico alla stella di sfondo, e subito dopo l’evento di microlensing.
«WFIRST otterrà misure simili a quelle di OGLE-2005-BLG-169, e lo farà per tutti gli eventi di microlensing planetari osservabili. Grazie a WFIRST conosceremo le masse e distanze per migliaia di esopianeti», ha concluso Bennett.