La presenza di Litio nel nostro universo, o meglio il suo quantitativo, è un vero quesito per gli astronomi. Infatti secondo quest’ultimi, rispetto all’universo attuale, nelle stelle antiche c’è troppo poco Litio 7, un isotopo primordiale nato nei primi tre minuti di vita dell’Universo, e gli scienziati non sanno spiegare perché.
In un recente articolo apparso su Astrophysical Journal (vedi Media INAF) si spiega che questa inaspettata presenza di Litio può essere ricondotta alla NOVAE. «Ma ciò non spiega – dice Paolo Molaro dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Trieste e coautore dell’articolo apparso su MNRAS – come mai il fattore di Litio al momento del Big Bang misurato dagli astronomi è un fattore 3 volte più basso di quello predetto dalla teoria della nucleosintesi primordiale».
Nella ricerca appena pubblicata Molaro e i suoi colleghi spiegano come le stelle possano aver modificato questo valore proponendo una nuova spiegazione che attesta la validità della nucleosintesi del Big Bang e chiama in causa l’interazione fra le stelle e l’ambiente in cui queste si sono formate.
Quattro erano gli elementi fondamentali, oltre all’idrogeno: elio 3, elio 4, deuterio e litio 7, quattro isotopi “leggeri” prodotti dalla nucleosintesi primordiale con il Big Bang. Ma non sempre i conti tornano. Le stelle “povere di metalli”, sono corpi celesti formati per la maggior parte da materiali primitivi. Sulla base del Modello Cosmologico Standard gli scienziati hanno calcolato quanto Litio 7 dovrebbe trovarsi al loro interno, ma le misurazioni empiriche mostrano che ce n’è molto poco, un fattore tre in meno rispetto a quanto calcolato. Com’è possibile? Sono le previsioni teoriche a essere sbagliate o parte del litio è andato perso?
«Il problema del litio è noto fra gli astrofisici, da quando i satelliti WMAP e Planck hanno fornito una misura precisa delle densità barionica dell’Universo. Da allora gli astronomi hanno disperatamente tentato di fornire una spiegazione, ma mai in maniera convincente», spiega Xiaoting Fu, studentessa della Scuola Internazionale Superiore di studi Avanzati, SISSA di Trieste, e prima autrice della. «Finora però le previsioni fornite da questi modelli non sono riuscite a riprodurre con sufficiente fedeltà le osservazioni. Il modello che abbiamo realizzato qui alla SISSA invece mostra un accordo notevole». Fu, in collaborazione con Alessandro Bressan della SISSA, Paolo Molaro e Paola Marigo dell’Università di Padova, ha sviluppato un modello stellare che spiega l’evoluzione del litio, con grande coerenza rispetto alle osservazioni.
«Oltre alla scarsa abbondanza di Litio 7 in queste stelle antiche, un altro aspetto problematico è che anche se le stelle possono essere molto diverse fra loro (in luminosità e temperatura) l’abbondanza di litio al loro interno è costante – in gergo gli scienziati parlano di spite plateau –, mentre invece ci aspetteremmo una certa variabilità» spiega Fu. «Grazie ai nostri calcoli siamo riusciti a dare una spiegazione plausibile, misurabile e possibilmente – speriamo in futuro – verificabile sperimentalmente». «Il litio è andato distrutto, in una fase molto precoce, poi altro ne è stato riassorbito dall’ambiente circostante, dal sistema della stella in formazione, per arrivare ai livelli che misuriamo oggi», spiega Molaro.
Il modello proposto da Fu e colleghi è “ambientale”, perché tiene conto dell’ambiente in cui la stella è andata a formarsi. «Le stelle si sviluppano in un ambiente ricco di gas, il disco di accrescimento, che si addensano e vanno a formare il corpo celeste. Nelle stelle povere di metalli, formatesi poco dopo il Big Bang, il litio inizialmente entrato nella loro formazione è stato rapidamente ‘bruciato’, ma poi il sistema stellare ha continuato ad assorbirne dallo spazio circostante, fino a quando il materiale circostante è stato spazzato via dai fotoni nell’ultravioletto estremo provenienti dalle stelle. A quel punto le stelle stavano per raggiungere il loro stato stabile (sequenza principale). A quel punto l’abbondanza del litio è rimasta pressoché quella che registriamo oggi con gli strumenti».