Gli astronomi hanno identificato il più piccolo buco nero supermassiccio mai rivelato. La scoperta, nel nucleo di una galassia nana, è stata ottenuta grazie ad una serie di osservazioni condotte con il telescopio spaziale della NASA Chandra e il telescopio Clay di 6,5 metri situato in Cile. Questo oggetto peculiare potrebbe fornire nuovi indizi su come si sono formati, più di 13 miliardi di anni fa, i buchi neri più grandi assieme alle rispettive galassie ospiti. I risultati sono pubblicati su Astrophysical Journal Letters.
Le osservazioni suggeriscono che la massa di questo buco nero è circa 50.000 volte superiore a quella del Sole, cioè ancora meno della metà della massa del più piccolo buco nero trovato in precedenza nel nucleo di un’altra galassia. «Potrebbe sembrare contraddittorio, ma trovare un oggetto di questo tipo è molto importante», spiega Vivienne Baldassare studentessa di dottorato dell’University of Michigan in Ann Arbor e prima autrice dello studio. «Possiamo sfruttare le osservazioni del ‘più leggero’ tra i buchi neri supermassicci che abbiamo identificato fino ad oggi per comprendere ancora meglio come questi oggetti di taglie differenti crescono ed evolvono».
L’oggetto si trova a circa 340 milioni di anni luce nel nucleo di una galassia nana denominata con la sigla RGG 118, scoperta inizialmente mediante la Sloan Digital Sky Survey (SDSS). I ricercatori hanno stimato la massa del buco nero studiando il moto del gas freddo che si trova distribuito in prossimità delle regioni centrali della galassia effettuando una serie di osservazioni nell’ottico realizzate con il telescopio Clay. In seguito, gli astronomi hanno utilizzato il telescopio spaziale Chandra per misurare la luminosità in banda X del gas caldo che si muove spiraleggiando attorno al buco nero. I dati indicano che la pressione di radiazione esercitata dal gas verso l’esterno è circa l’un percento rispetto all’attrazione gravitazionale dovuta al buco nero, un dato tipico che appartiene alle proprietà dei buchi neri supermassicci.
Gli scienziati sanno che esiste una relazione tra la massa dei buchi neri supermassicci e l’intervallo di velocità che possiedono le stelle in prossimità delle regioni centrali della galassia ospite. Questa relazione vale anche nel caso di RGG 118 e del suo buco nero. «Abbiamo trovato che questo buco nero supermassiccio ‘piccolino’ si comporta davvero come i suoi cugini più grandi», dice Amy Reines dell’University of Michigan e co-autrice dello studio. «Questo ci dice che i buchi neri crescono allo stesso modo, non importa quale sia la loro dimensione».
Il buco nero in RGG 118 è quasi 100 volte meno massivo di Sagittarius A*, il buco nero al centro della Via Lattea, ma è anche 200 mila volte meno massivo dei buchi neri più pesanti che sono stati trovati nei nuclei di altre galassie. Nonostante esistano delle difficoltà con la tecnologia che abbiamo a disposizione, oggi uno degli obiettivi degli astronomi è quello di capire come si formano i buchi neri di miliardi di masse solari a partire da epoche risalenti a meno di un miliardo di anni dopo il Big Bang. Ad ogni modo, l’oggetto in questione fornisce agli astronomi un’opportunità unica per studiare un buco nero supermassiccio piccolo e vicino.
In generale, si ritiene che i buchi neri supermassicci si formano quando una enorme nube di gas, con una massa da circa 10.000 fino a 100.000 volte la massa solare collassa in un buco nero. Molti “siti cosmici” nei quali si sviluppano questi “mostri del cielo” fondono per formare oggetti supermassicci ancora più grandi. Diversamente, la formazione di un buco nero supermassiccio può essere correlata ad una stella gigante, con circa 100 volte la massa solare, che alla fine della sua evoluzione esaurisce il proprio combustibile nucleare e collassa sotta l’effetto della gravità. «Abbiamo due idee principali su come si formano i buchi neri supermassicci», dice Elena Gallo dell’University of Michigan e co-autrice dello studio. «Quelli di tipo stellare hanno una massa di alcune masse solari e si formano quando le stelle più grandi collassano sotto l’effetto della gravità. Gli altri li chiamiamo ‘supermassicci’ perché hanno una massa tipica di almeno 100 mila volte quella del Sole (il doppio di quella che caratterizza il nostro oggetto). Si ritiene che questi oggetti si formano ed evolvono con le rispettive galassie ospiti dove essi risiedono nei loro nuclei».
Nonostante sia noto che nei nuclei di tutte le galassie più grandi, come la Via Lattea, esista un buco nero supermassiccio, quello di RGG 118 è il primo che viene identificato in una galassia nana. Questi risultati iniziano a far luce sulle similitudini tra galassie su scale differenti. Dato che RGG 118 è così piccola, è improbabile che si sia fusa nel passato con altre galassie, perciò essa fornisce ai ricercatori una sorta di “finestra” sull’Universo primordiale. Di fatto, si ritiene che le galassie più grandi si siano evolute per mezzo di fusioni (merging) con altre galassie. «Queste galassie di piccola taglia possono rappresentare le controparti delle galassie primordiali», dice Baldassare. «Invece, per quelle galassie come la nostra, non sappiamo ancora come esse si mostravano durante le fasi iniziali. Studiare perciò come si sono evolute queste galassie, come nel caso di RGG 118, assieme ai propri buchi neri e come essi si influenzano a vicenda, ci permette di comprendere meglio la formazione e l’evoluzione delle galassie primordiali».
Come avviene oggi nella maggior parte delle galassie, il buco nero della Via Lattea è dormiente. Ma le galassie giovani e di piccola taglia, come RGG 118, possiedono nuclei ancora attivi che stanno “divorando” stelle, polvere e gas. Durante questa epoca alquanto tumultuosa della storia di una galassia, il buco nero centrale contribuisce all’evoluzione della propria galassia ospite. «Il buco nero agisce come una sorta di termostato», aggiunge Gallo, «regolando sia la temperatura della galassia che il moto della polvere e del gas che determinano la formazione di nuove stelle. Il caso del buco nero ‘piccolino’ di RGG 118 funge come una sorta di ‘rappresentante’ di quelli che appartengono alla storia primordiale dell’Universo e alla fine potrà aiutarci a discriminare quale delle due ipotesi sia quella giusta».
I ricercatori continueranno ora a dare la caccia ad altri buchi neri supermassicci che abbiano delle dimensioni confrontabili o che siano ancora più piccoli di quello che si trova nel nucleo di RGG 118 in modo che da un lato si possa chiarire, almeno così si spera, quale dei due modelli sia più accurato e dall’altro si possa migliorare ancora di più la nostra comprensione relativa all’evoluzione di questi affascinanti oggetti del cielo.
arXiv: A ~50,000 solar mass black hole in the nucleus of RGG 118