Meno di una settimana fa la sonda dell’ESA Rosetta ha osservato da vicino – anzi molto vicino – la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko mentre raggiungeva il suo massimo avvicinamento al Sole, che in gergo tecnico si chiama perielio. Al momento esatto del perielio, verificatosi alle 4:03 della mattina di giovedì scorso, la cometa ha toccato i 186 milioni di chilometri dal Sole. Il viaggio della cometa e di Rosetta prosegue anche dopo il “saluto al Sole” e i ricercatori proseguono alacremente nell’analisi dei dati inviati dagli strumenti a bordo della sonda.
Nello specifico, un gruppo di esperti – di cui fanno parte anche scienziati italiani – ha elaborato delle immagini scattate dalla camera OSIRIS mesi fa, per la precisione tra il 6 agosto 2014 (quando il satellite è arrivato nell’orbita di Chury) e il primo marzo 2015. Lo studio, pubblicato su Geophysical Research Letters, ha preso in considerazione queste immagini e altri dettagli raccolti dagli 8 ai 18 chilometri di distanza dalla superficie. Gli esperti hanno così avuto modo di osservare particolari fratture e spaccature su tutta la cometa. Da cosa sono state causate? Molto probabilmente dallo stress termico che 67P subisce nel corso dell’orbita attorno al Sole, il che spiegherebbe questa erosione superficiale.
A Media INAF Gabriele Cremonese, ricercatore presso l’INAF – Osservatorio Astronomico di Padova, ha spiegato: «Le fratture rappresentano una caratteristica importante nella cometa 67P studiata dalla sonda Rosetta, in quanto le troviamo su larga scala con dimensioni di centinaia di metri, quindi potrebbero addirittura essere legate all’origine della cometa come il risultato di una dolce collisione di due corpi più piccoli». Ha poi specificato che «si trovano su scale anche molto più piccole, come evidenziato in quest’ultimo lavoro, addirittura su sassi delle dimensioni di qualche metro, dovute principalmente a forti stress termici legati alla rotazione della cometa, e quindi al variare dell’insolazione nel giro di poche ore e all’orbita attorno al Sole. Le fratture osservate nei grandi sassi possono portare alla frammentazione in sassi molto più piccoli. Altre cause delle fratture sono legate alla sublimazione del ghiaccio d’acqua e all’improvvisa liberazione di volatili. Le fratture sono state osservate anche su scale molto più piccole, dell’ordine delle decine di centimetri, dalle camere a bordo di Philae».
L’autore principale dello studio, M. Ramy El-Maarry dell’Università di Berna, ha aggiunto che sono state identificate tre tipologie diverse di fratture: fratture strette con un layout a rete, fratture sulle scogliere e poi rocce fratturate. Le fratture più diffuse sono quelle a rete e vanno dai pochi metri ai 250 metri di lunghezza, soprattutto su zone pianeggianti. È interessante notare che, in alcune località, le fratture sembrano incrociarsi l’una con l’altra in modelli poligonali ad angoli di 90° – sulla Terra e su Marte questo fenomeno è spesso segno della presenza di ghiaccio che ha spaccato la roccia sotto la superficie. Fratture che si incrociano sono state trovate anche sui pendii, come la regione di Seth.
A questo punto gli scienziati sono concordi nel dire che questi tipi di fratture sono probabilmente legati alla storia termica della cometa e sono quindi il risultato di sollecitazioni che si estendono su tutta la superficie della cometa. Lo stress termico porta ovviamente alla perdita di materiale volatile con l’avvicinarsi al Sole. Oltre a questo, le comete subiscono anche notevoli oscillazioni di temperatura – sia in superficie che nel sottosuolo – giornalmente e stagionalmente. Questo continuo ‘shock’ termico porta a indebolire la superficie.
Ramy ha aggiunto: «La presenza di fratture in contesti diversi, oltre alle fratture isolate nei siti Anuket e Aker, suggerisce che altri meccanismi possono esserne la causa. Per esempio, le forze meccaniche legate alla rotazione della cometa o all’orbita intorno al Sole sono responsabili delle spaccature nel sito Anuket». In ogni caso, qualsiasi sia la causa, è chiaro ai ricercatori che queste fratture hanno un importante ruolo nell’evoluzione geologica di Chury. «Monitorare periodicamente questi sistemi di fratture dopo la fase del perielio, assieme all’esecuzione di modelli per simulare l’evoluzione della cometa nel corso del tempo, ci permetterà di testare le nostre varie ipotesi sulla formazione delle fratture», ha concluso Ramy.
Per saperne di più:
- Leggi su Geophysical Research Letters lo studio “Fractures on comet 67P/Churyumov-Gerasimenko observed by Rosetta/OSIRIS“