Ci si mise pure il crollo dell’URSS, a sbarrarle la strada. La polarimetria X sembra afflitta da una sorta di maledizione: delle tante missioni spaziali progettate per lo studio di questa particolarissima finestra sull’universo delle alte energie, tre sono riuscite ad arrivare quasi ai blocchi di partenza, ma nessuna ha mai veramente preso il volo. Ultima in ordine di tempo, la missione GEMS (Gravity and Extreme Magnetism), selezionata dalla NASA e poi cancellata, nel 2012, perché ad alto rischio di sforamento del budget (due potenziali eredi ne hanno comunque raccolto il testimone). Sorte analoga per il progetto POLARIX (arenato in fase A) e, negli anni Novanta, per lo Stellar X-ray Polarimeter (una collaborazione tra la Columbia University e l’attuale INAF IAPS di Roma): gli strumenti vennero realizzati, col sostegno dell’ASI, ma la caduta dell’impero sovietico fermò di fatto il progetto. Ce n’è abbastanza per far dichiarare a Enrico Costa, astrofisico dell’INAF IAPS di Roma, qualche tempo fa sulle pagine di Nature, che «la situazione, per la polarimetria, è talmente grave che anche una piccola missione rappresenterebbe un passo avanti».
Ebbene, una missione non piccola bensì media – di taglia M, secondo la nomenclatura ESA – è ora fra le tre candidate entro le quali verrà scelta quella destinata a spiccare il volo nel 2026. Si chiama XIPE, acronimo per X-ray Imaging Polarimetry Explorer, e delle tre è l’unica a guida italiana. Ed è proprio al coordinatore della proposta, Paolo Soffitta dell’INAF IAPS di Roma, che ci siamo rivolti per capire quale scienza ci si attende da un satellite come XIPE, formato in realtà da ben tre telescopi di 3.5 metri di lunghezza focale al cui fuoco verranno posti tre gas pixel detectors.
«Quasi tutte le galassie ospitano al centro un buco nero di grande massa. Perché alcune presentano una fenomenologia violenta mentre altre appaiono quiescenti? È uno dei grandi problemi dell’astrofisica moderna. È verosimile che nelle galassie si alternino periodi in cui il buco attira materia – che, cadendo, produce una grande emissione in tutte le lunghezze d’onda – con periodi nei quali la massa espulsa precedentemente blocca l’ulteriore caduta di materia. Ma cosa succede al buco nero di casa nostra? Al centro della nostra galassia c’è un buco nero centomila volte più massiccio del Sole ma che, al paragone dei buchi neri al centro di altre galassie, è estremamente tranquillo. Ma è sempre stato così? Forse no».
Perché? E come potrebbe, XIPE, dare una risposta?
«Il buco nero al centro della Via Lattea è circondato da nubi molecolari che (stranamente) emettono raggi X. Forse in passato il buco nero della nostra galassia era un milione di volte più attivo e le nubi molecolari stanno semplicemente riflettendo l’emissione di quell’epoca, che arriva a noi in ritardo. Non parliamo di miliardi e neppure di milioni di anni ma di qualche centinaio di anni. Se Galileo oltre al telescopio ottico avesse avuto un telescopio per raggi X, il buco nero al centro della galassia sarebbe stata la sorgente più luminosa del cielo. Questa è un’idea di Rashid Sunyev di 30 anni fa. Purtroppo gli spettri, le immagini e la variabilità non sono bastati a verificare questa straordinaria possibilità, visto che le nubi potrebbero riflettere raggi X provenienti da una qualunque altra sorgente. Ma se l’ipotesi è vera, i raggi X delle nubi devono avere una polarizzazione altissima, e l’angolo di polarizzazione dovrebbe “puntare” al buco nero. A questo punto, il grado di polarizzazione permetterà di misurare la distanza delle nubi e il tempo in cui è avvenuto il brillamento del buco nero al centro della nostra galassia. Né Chandra con la sua straordinaria risoluzione angolare, né ATHENA con la sua straordinaria risoluzione energetica, possono fare questa misure. XIPE la farà e permetterà di verificare l’alternarsi di periodi di estrema attività con periodi di calma anche nella nostra galassia».
Quanta Italia e quanto INAF ci sono, in XIPE?
«XIPE è il risultato di due linee in cui l’INAF ha sempre avuto un ruolo di punta. La prima è la realizzazione e la calibrazione di rivelatori a immagine sensibili alla polarizzazione, grazie al lavoro iniziato negli anni Novanta dal gruppo di Enrico Costa dal gruppo dell’INFN di Pisa condotto da Ronaldo Bellazzini. La seconda è lo sviluppo di ottiche per raggi X di elevata qualità e area, per le quali l’Osservatorio di Brera dell’INAF, con una tradizione che parte dai concentratori realizzati per BeppoSAX e iniziata da Oberto Citterio, ha sviluppato nel tempo tecniche molto competitive, portate in produzione dalla Media Lario, che sono state via via impiegate a bordo di satelliti quali XMM, SWIFT, e poi in futuro sul nuovo Spectrum X-Gamma con eRosita. Dunque il “motore” di XIPE è italiano, sicuramente sì, per tradizione e capacità. Ma la missione vede importanti partecipazioni in Germania, in Inghilterra, in Spagna, in Polonia e in Svezia, Svizzera e Cina con più di 140 scienziati di 17 paesi».
Insomma potrebbe essere la volta buona, per la polarimetria X?
«Secondo il pantheon della civiltà precolombiana atzeca, Xipe rappresenta un simpatico dio uso a vestirsi delle pelli dei suoi nemici sconfitti. Diciamo che la missione XIPE permette, grazie, alle misure di polarimetria X ora possibili grazie per la sua elevata sensibilità, di guardare cosa c’è sotto la pelle delle sorgenti che le tecniche standard di imaging, spettroscopia e timing non hanno saputo scalfire».