GLI ARTICOLI CON TITOLI BREVI SONO PIÙ CITATI

Agli scienziati piace corto

Un’analisi bibliometrica condotta su 140mila articoli scientifici mostra una correlazione fra citazioni e lunghezza dei titoli: più questi sono corti, maggiore tende a essere il numero di citazioni ricevute. Vale anche per i papers dell’INAF? Abbiamo provato a interrogare il database Scopus

     28/08/2015
Dati per riviste. Fonte: Royal Society Open Science

Nella distribuzione qui sopra, i risultati aggregati per riviste. Quelle che pubblicano articoli con titoli brevi ricevono più citazioni per articolo. Fonte: Royal Society Open Science

Il capolavoro di Einstein del 1916, “Die Grundlage der allgemeinen Relativitätstheorie”, ne ha 49. Il saggio seminale di Watson e Crick uscito su Nature nel 1953, “A structure for Deoxyribose Nucleic Acid”, ne ha 40. E lo studio di cui parliamo oggi 37. Non di oscura cabala si tratta, bensì del numero di battute dei titoli dei succitati articoli, spazi e punteggiatura compresi. Battute che qualcuno che s’è preso il disturbo d’andare a contare. E non per dieci, cento, o mille papers: l’indagine condotta da Adrian Letchford e colleghi, della University of Warwick (Regno Unito), ha preso in esame la bellezza di 140mila titoli d’articoli scientifici: per l’esattezza, i 20mila più citati di ogni anno dal 2007 al 2013. E li ha messi in relazione con il numero di citazioni ricevute da ogni articolo, così come conteggiate nel database Scopus.

I risultati, illustrati nell’ultimo numero di Royal Society Open Science, mostrano una correlazione fra le due grandezze. Ed è una correlazione negativa. Detto altrimenti, come scrivono gli autori nelle conclusioni, gli articoli dal titolo più breve tendono a essere mediamente più citati rispetto a quelli dal titolo più lungo. Questo, vale la pena sottolinearlo, è ciò che salta fuori considerando il solo numero di battute. A ben guardare, l’analisi di Letchford e colleghi è più complessa. Per esempio, oltre a confrontare tutti gli articoli fra loro, hanno calcolato anche le correlazioni fra i soli articoli pubblicati sulla stessa rivista, così da tener conto di possibili bias come il vincolo che alcune riviste pongono sulla lunghezza massima dei titoli (due su tutti: 20 parole per Nature e 90 caratteri per Science). Ancora, oltre che per rivista, hanno raggruppato gli articoli anche per anno di pubblicazione, ottenendo risultati a volte contraddittori (è il caso del periodo 2007-2011 messo a confronto con il 2012-2013). Ma la conclusione generale è che ci sia comunque una correlazione statisticamente significativa.

Ora, abituati come siamo a comunicare in forma di tweet, il risultato non è forse fra i più sorprendenti. È però meno sterile di quanto possa apparire a prima vista. Anzitutto per ragioni strettamente pragmatiche: considerata l’influenza sempre maggiore che indicatori bibliometrici basati in gran parte sul numero di citazioni – primo fra tutti l’H-index – possono avere, per esempio, sui finanziamenti a enti o gruppi di ricerca (quando non sulla carriera dei singoli ricercatori), se un semplice escamotage come accorciare un po’ il titolo potesse davvero aiutare a guadagnarsi fosse pure una sola citazione in più, perché non provarci? Ma è una conclusione degna di nota anche per un’altra ragione: come sottolineano gli stessi autori, «questi risultati sono coerenti con l’ipotesi intrigante che gli articoli dal titolo più breve siano più facili da capire, e che per questo ricevano più citazioni».

È un “trucco” che funziona anche per l’astrofisica?

Incuriositi da questi risultati, anche noi di Media INAF abbiamo voluto dedicare qualche ora a interrogare il database di Scopus, limitandoci agli articoli che vedono fra i coautori uno o più ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e senza alcuna pretesa di scientificità. Un divertissement da prendere con le molle, dunque, se non altro perché i 1236 titoli prodotti dalla nostra query di ricerca sono esclusivamente quelli con affiliazione “Istituto Nazionale di Astrofisica” (scritto per esteso), e dunque non comprendono gli articoli per i quali l’affiliazione indicata dagli autori è “INAF” o “I.N.A.F.” e via dicendo. Fatta questa doverosa premessa, ecco alcune cose che abbiamo scoperto.

Anzitutto, l’articolo con il titolo più lungo risulta essere “A systematic mapping procedure based on the Modified Gaussian Model to characterize magmatic units from olivine/pyroxenes mixtures: Application to the Syrtis Major volcanic shield on Mars”: pubblicato nel 2013 sul Journal of Geophysical Research E: Planets, secondo il database Scopus ha collezionato fino a oggi 7 citazioni. E conta ben 187 caratteri.

Quello con il titolo più breve è invece “JEM-X detector”: 14 caratteri e nessuna citazione, ma è normale trattandosi in realtà di una pubblicazione speciale dell’ESA del 1997 (dunque addirittura di epoca “pre-INAF”). Al secondo posto, però, con 18 caratteri, abbiamo “Interstellar C60 +”, questa volta un paper “normale” (uscito su Astronomy & Astrophysics nel 2013): le citazioni che finora ha raccolto sono 16.

Ma ciò che più conta è che sì, anche per il ridotto corpus da noi preso in esame la tendenza osservata dai ricercatori inglesi sembra presentarsi, come si evince dalla linea rossa in leggera discesa nel grafico qui di seguito (cliccare per ingrandire):

Grafico di dispersione del numero di citazioni in funzione della lunghezza dei titoli..

Grafico di dispersione, con linea di tendenza, del numero di citazioni in funzione della lunghezza dei titoli per gli articoli presenti nel database Scopus con affiliazione “Istituto Nazionale di Astrofisica”. La query che abbiamo utilizzato è: AFFILORG(Istituto Nazionale di Astrofisica) AND ( LIMIT-TO(DOCTYPE,”ar” ) )

 

En passant, l’articolo con più citazioni nel quale ci siamo imbattuti durante la nostra breve immersione nel database è invece “The large area telescope on the fermi gamma-ray space telescope mission”, che da quando uscì su The Astrophysical Journal, nel 2009, ha messo insieme (sempre secondo Scopus) la bellezza di 1233 citazioni. Di caratteri ne ha una settantina, segno forse che anche una giusta via di mezzo può andare.

Volete infine sapere come s’intitola il paper all’origine di tutto ciò, ovvero l’articolo che è andato a misurare la lunghezza dei titoli altrui? Ebbene, i tre autori hanno optato per un sobrio ed efficace “The advantage of short paper titles”. Che, spazi inclusi, fa appunto, 37 caratteri. Vedremo quante citazioni raccoglierà.