COINVOLTI 37000 VOLONTARI

Tutti alla ricerca di lenti gravitazionali

Un altro progetto di Citizen Science, ovvero di ricerca scientifica condivisa con il grande pubblico, ha permesso di individuare 29 nuove candidate lenti gravitazionali, dall'analisi di oltre 400.000 immagini raccolte nella campagna osservativa Canada-France -Hawaii Telescope Legacy Survey

     25/09/2015
Le 29 potenziali lenti gravitazionali individuate dai volontari del progetto Space Warps. Credti: Space Warps, Canada-France-Hawaii Telescope Legacy Survey

Le 29 potenziali lenti gravitazionali individuate dai volontari del progetto Space Warps. Credti: Space Warps, Canada-France-Hawaii Telescope Legacy Survey

430.000 immagini astronomiche e un obiettivo da raggiungere: individuare in esse l’eventuale presenza di distorsioni nelle riprese degli oggetti celesti dovute al fenomeno della lente gravitazionale. Un compito gravoso e tutt’altro che semplice da portare a termine, anche per i migliori software automatizzati sviluppati ad hoc e utilizzati dagli astronomi. Ecco allora, come sempre più spesso accade ormai, che gli addetti ai lavori chiedono aiuto di volontari per analizzare ‘ad occhio’ le immagini. Nasce così il progetto Space Warps, arrivato a coinvolgere ben 37.000 collaboratori che, computer alla mano e sguardo attento sui monitor, sono riusciti a scovare 29 nuove candidate lenti gravitazionali dalla montagna di immagini ottenute dalla campagna osservativa Canada-France -Hawaii Telescope Legacy Survey (CFHTLS).

Questi sistemi sono formati da galassie massicce la cui forza di attrazione gravitazionale riesce a deviare la traiettoria dei raggi luminosi provenienti da una sorgente sullo sfondo che, dalla Terra, risulta esattamente allineata con esse. Le immagini di quella lontana sorgente che raccogliamo con i nostri telescopi risultano così distorte. L’effetto è amplificato anche dalla presenza di materia oscura. Studiare quindi le lenti gravitazionali offre agli scienziati un modo per indagare questa forma esotica di materia che permea l’universo ma ancora così elusiva, dato che non emette luce.

Lo schema illustra il fenomeno della lente gravitazionale. Crediti: Kavli IPMU

Lo schema illustra il fenomeno della lente gravitazionale. Crediti: Kavli IPMU

«Gli algoritmi utilizzati dai computer in alcuni casi sono riusciti ad individuare autonomamente gli effetti dovuti alle lenti gravitazionali nelle immagini astronomiche, ma in altri hanno mancato l’identificazione quando gli oggetti deformati presentano caratteristiche morfologiche tipiche delle galassie, come ad esempio i bracci di spirale blu delle galassie a spirale» spiega Anupreeta More, co-PI del progetto Space Warps e project researcher presso il Kavli Institute for the Physics and Mathematics of the Universe dell’Università di Tokyo.

«Tutto quello che serviva era la capacità di riconoscere particolari configurazioni di forme e colori» racconta Christine Macmillan, una dei volontari-scienziati che hanno partecipato all’indagine e coautrice dell’articolo che ne descrive metodi e risultati, che verrà pubblicato sulla rivista Mothly Notices of the Royal Astronomical Society. «E ‘stato affascinante – prosegue – osservare galassie così lontane e rendersi conto che ce ne sono altre dietro, ancora più lontane, la cui luce viene distorta a formare un arco».

Il team scientifico si appresta adesso a condurre nuove e più accurate osservazioni telescopiche dei sistemi di lente gravitazionale canditati emersi dall’indagine, con l’auspicio di svelare alcuni degli enigmi legati alle proprietà della materia oscura. E, per il prossimo futuro, gli astronomi si augurano di collaborare con ancora più volontari, non appena saranno disponibili nuove serie di immagini in corso di acquisizione, per scovare – insieme – ancora altre lenti gravitazionali disseminate nel cosmo.

Per sapere di più:

  • Il sito web del progetto Space Warps
  • L’articolo Space Warps II. New Gravitational Lens Candidates from the CFHTLS Discovered through Citizen Science di Anupreeta More et al. accettato per la pubblicazione sulla rivista Mothly Notices of the Royal Astronomical Society