La sonda Rosetta iniziò nell’estate del 2014 ad annusare l’atmosfera della sua cometa, la 67/P Churyumov-Gerasimenko, con una “naso” dal nome delicato: ROSINA (Rosetta Orbiter Spectrometer for Ion and Neutral Analysis), uno strumento che combina due spettrometri di massa, nonché un sensore di pressione, per analizzare i gas della cometa.
Già dalle prime serie di dati, i ricercatori del Centro per lo spazio e abitabilità (CSH) presso l’Università di Berna si resero conto di avere trovato qualcosa di totalmente inaspettato. Nascoste tra i prevedibili valori di picco di sostanze come zolfo e metano, si annidavano chiare tracce di ossigeno molecolare (O2).
Poiché l’ossigeno è una molecola altamente reattiva, le probabilità giocavano a favore del fatto che tutto l’ossigeno presente nel momento della formazione del Sistema Solare doveva essersi nel tempo combinato con l’idrogeno, disponibile in abbondanza, per formare acqua. Invece eccolo lì, nella rarefatta chioma di una cometa.
«Non avevamo mai pensato che l’ossigeno potesse “sopravvivere” per miliardi di anni senza combinarsi con altre sostanze», conferma Kathrin Altwegg del CSH, project leader di ROSINA e co-autrice di un nuovo studio pubblicato questa settimana sulla rivista scientifica Nature, in cui si è scoperto che l’ossigeno O2 è il quarto più comune gas nell’atmosfera cometaria, dopo l’acqua (H2O), il monossido di carbonio (CO) e l’anidride carbonica (CO2).
Il motivo per cui questa molecola non è già stata osservata in altre comete è che l’ossigeno molecolare è assai difficile da rilevare con le misure spettroscopiche condotte da telescopi terrestri. Per fare questa scoperta era dunque necessario che la sonda spaziale Rosetta si recasse sul posto.
«E’ stato sorprendente anche constatare che esiste una correlazione stabile tra acqua e ossigeno, ovvero il rapporto tra acqua e ossigeno non cambia in differenti punti della cometa o in momenti successivi», aggiunge Altwegg.
Al contrario delle comete, è noto che esistono molecole di ossigeno sulle lune di Giove e Saturno, presumibilmente in seguito al bombardamento di particelle ad alta energia provenienti dai loro rispettivi pianeti madre. Tali particelle possono scindere le molecole d’acqua, causando la formazione – tra l’altro – di ossigeno, idrogeno e ozono.
Una cometa come la 67P/Churyumov-Gerasimenko ha invece ricevuto, nel corso dei 4 miliardi e mezzo di anni da quando si è formata, una pioggia di raggi cosmici, particelle sì energetiche, ma in grado di penetrare solo pochi metri nella superficie cometaria.
C’è però da tenere presente il fatto che la cometa “si consuma”, perdendo tra uno e dieci metri della sua circonferenza per ogni rivoluzione attorno al Sole. I ricercatori hanno calcolato che dal suo ultimo incontro con Giove – avvenuto nel 1959 e che ha fissato la cometa sulla sua orbita attuale – la 67P abbia perso più di 100 metri di spessore.
La spiegazione più probabile della presenza di ossigeno molecolare sul grumo ghiacciato, secondo gli autori del nuovo studio, è che le molecole si siano originate in un’epoca antichissima, prima della formazione del Sistema Solare, attraverso l’azione disgregante di particelle ad alta energia sul ghiaccio d’acqua presente nella nebulosa primordiale da cui il Sistema Solare ha avuto origine.
L’ossigeno così prodotto sarebbe stato “messo in freezer”, per poi essere liberato durante la sublimazione della cometa, arrivando inalterato dall’alba dei tempi fino alle delicate narici dello strumento ROSINA. Le cui misurazioni dell’ossigeno, sottolineano gli scienziati, mostrano che almeno una parte significativa del materiale cometario è più vecchio del Sistema Solare stesso. Una scoperta che, secondo Altwegg, «probabilmente screditerà alcuni modelli teorici sulla formazione del Sistema Solare».