Il 31 ottobre si inaugura a Torino la diciottesima rassegna internazionale di Luci d’Artista 2015 e tra le tre novità di quest’anno troviamo in piazza Castello, la Mattang Lucente. La rete Celeste di Gaia.
Il progetto è stato ideato dall’artista Ugo Locatelli, mentre Davide Groppi, due volte compasso d’oro nel 2014, ha realizzato il lighting design.
L’opera è la ricostruzione lucente e minimale di un antico ‘mattang’ polinesiano, una mappa in bambù dei sistemi di onde, correnti marine e venti, il cui originale è conservato nel British Museum di Londra. Fabbricato da migliaia d’anni dagli isolani per muoversi nell’arcipelago e per scopi didattici, dato che non conoscevano la scrittura e il disegno, poteva essere adattato attraverso ricognizioni successive e confronti con le rilevazioni di altri..
L’installazione è una metafora della navigazione esplorativa aperta e richiama il concetto della mappatura relativistica in corso nella nostra Galassia attraverso la luce stellare che sta raccogliendo nello spazio, ad 1,5 milioni di km dalla Terra, la missione europea Gaia – lanciata dall’Agenzia Spaziale Europea nel 2013 – di cui Torino detiene la leadership scientifica per la partecipazione italiana e che vede protagoniste ben otto sedi dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). L’unico nodo italiano (6 in tutto a livello europeo) per l’analisi dei dati risiede proprio a Torino presso l’ALTEC. Difatti Gaia porta alla ribalta l’Astrometria in chiave relativistica e, per la prima volta, sarà in grado di ridisegnare la cartografia celeste traslando l’ottica con cui ci collochiamo nell’Universo da un piano euclideo ad uno prettamente relativistico.
La Mattang Lucente dunque viene realizzata in occasione dell’Anno Internazionale della Luce e il centenario della Teoria della relatività Generale di Einstein, entrambi aspetti caratterizzanti la missione Gaia. L’interesse rivolto ai mattang è dato dal loro essere un crocevia di relazioni tra pensiero e immagine, di intrecci fra arte e scienza, di passaggi dalla semplicità formale della griglia alla complessità e dinamicità della rete.
In controtendenza con l’attuale tecnologia pervasiva e dirompente, la natura minimale e allo stesso tempo densa di queste mappe rivelano “una tecnologia povera e insieme straordinaria” (Arne Naess, filosofo norvegese dell’ecologia profonda, 1973).
Costruire mappe mutevoli di bambu o di luce per orientarsi nello spazio-tempo a partire dalla propria ‘isola’, esplorare l’esistente, navigare verso l’ignoto e nuove Terre, gettare un ponte tra noi e l’Universo, estrarre delle prospettive di senso dai modelli mentali della realtà, non sono processi conoscitivi fini a se stessi, ma esigenze di carattere vitale ed emozionale connaturate da sempre nell’essere umano e, in quanto tali, proprie sia al mondo scientifico sia a quello artistico.
L’opera segnala la relazione tra visibile e invisibile: la segretezza provvisoria diurna viene svelata al crepuscolo dalla luminosità dei bordi del tracciato. La location non è stata scelta a caso dato che sul tetto di Palazzo Madama, da sempre cuore storico della città, era collocato il primo osservatorio astronomico di Torino. L’origine di quest’ultimo risale al 1759, quando il re Vittorio Amedeo III di Savoia diede a Giovanni Battista Beccaria l’incarico di determinare l’arco di meridiano locale. Gli strumenti astronomici usati per queste misure diventarono il primo nucleo dell’Osservatorio, che a quel tempo era situato proprio in piazza Castello.