La rivista Astronomy & Astrophysics ha pubblicato uno speciale che raccoglie 46 articoli frutto dei risultati ottenuti dalla missione Rosetta prima che la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko raggiungesse il perielio.
Rosetta è una missione spaziale sviluppata dall’Agenzia Spaziale Eropea (ESA), è stata lanciata il 2 marzo 2004, e ha raggiunto il suo obiettivo nell’agosto del 2014, dopo un viaggio di oltre dieci anni. L’obiettivo scientifico della sonda, la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko (67P), ha un periodo orbitale breve (6.55 anni) e una bassa inclinazione orbitale. La sua distanza minima dal Sole, ovvero quando si trova al perielio, è pari a 1.24 UA, mentre quella all’afelio è di 5.68 UA. Rosetta ha raggiunto la cometa 67P quando questa si trovava a circa 3.5 UA dal Sole e si è agganciata alla sua orbita, seguendo il suo cammino verso il Sole. La partecipazione italiana alla missione consiste in tre strumenti scientifici a bordo dell’orbiter: VIRTIS (Visual InfraRed and Thermal Imaging Spectrometer) sotto la responsabilità scientifica dell’IAPS (INAF Roma), GIADA (Grain Impact Analyser and Dust Accumulator) sotto la responsabilità scientifica dell’Università Parthenope di Napoli, e la WAC (Wide Angle Camera) di OSIRIS (Optical Spectroscopic and Infrared Remote Imaging System) sotto la responsabilità scientifica dell’Università di Padova. A bordo del lander, è italiano il sistema di acquisizione e distribuzione dei campioni SD2 (Sampler Drill & Distribution), sotto la responsabilità scientifica del Politecnico di Milano, ed il sottosistema dei pannelli solari.
La sonda spaziale Rosetta è costituita da un orbiter e di un lander, chiamato Philae, che è stato inviato sulla superficie della cometa il 12 novembre 2014. A differenza delle precedenti missioni spaziali dedicate alle comete, che avevano effettuato soltanto incontri ravvicinati con i nuclei cometari, Rosetta è la prima missione spaziale ad orbitare attorno ad una cometa seguendola nel suo percorso verso il Sole, a planare, o meglio “accometare” sulla sua superficie, e a testimoniarne da vicino l’attività crescente.
Gli articoli pubblicati in questo speciale di Astronomy & Astrophysics coprono una grande varietà di temi nel campo della scienza cometaria e rivoluzionano questo settore in molti aspetti.
Un primo risultato ottenuto da Rosetta è stata la possibilità di vedere direttamente il nucleo della cometa, che ha mostrato una forma a “papera”, molto diversa dalle previsioni (Preusker et al.). Non è ancora chiaro se questa forma sia una conseguenza della storia di formazione e collisioni successive avvenute sulla cometa o di una sua progressiva erosione. I ricercatori si sono interrogati a lungo circa la struttura della comete. In che modo la composizione del nucleo sia legata a quella della chioma, come si evolvano i nuclei, e, naturalmente, come si formino: potrebbero essere i mattoni da cui si sono poi formati i pianeti? Grazie alla ricchezza dei dati raccolti da Rosetta oggi abbiamo alcune risposte a queste annose domande.
La cometa, ovviamente, è stata monitorata anche con strumenti da Terra, e l’attività registrata ha confermato le aspettative, con un aumento graduale durante l’avvicinamento al Sole (Zaprudin et al.). È emerso chiaramente che la maggior parte dell’attività proveniva da getti di polvere nella regione denominata Hapi, ovvero nel “collo” tra i due lobi della cometa (Lin et al., Lara et al.). L’analisi dei dati acquisiti dagli strumenti a bordo di Rosetta ha permesso una caratterizzazione estremamente dettagliata dell’attività della cometa e della sua chioma gassosa (Feldman et al., Biver et al., Lee et al., Bieler et al.). Una serie di considerazioni teoriche hanno dimostrato che la variazione della velocità di rotazione della cometa potrebbe essere spiegata dalla perdita di materiale cometario, pari a circa un metro di spessore del nucleo per ogni passaggio intorno al Sole (Bertaux). Basta che il 6% della superficie sia attivo per soddisfare l’attività osservata al perielio (Keller et al.). Per spiegare la scia di polvere osservata, per lo più grani di dimensioni millimetriche, occorre che questa venga liberata dalla superficie della cometa a velocità bassissime (Soja et al.). Questo è possibile solo se la polvere che si trova sulla superficie ha una una resistenza alla trazione estremamente bassa, mille volte inferiore a quella di uno strato di polvere formato da grani di dimensioni micrometriche. Una possibile risposta è che il nucleo si sia formato attraverso il collasso gravitazionale di un insieme di oggetti delle dimensioni che vanno dal millimetro al centimetro (Gundlach et al.).
Le osservazioni del nucleo della cometa ottenute da Rosetta mostrano una superficie giovane, rivestita da uno strato di polvere e con una composizione eterogenea dei due lobi (El-Maarry et al.). Le varietà di terreni e morfologie è molto ampia, tra cui emergono ad esempio forme rotondeggianti che nascondono condotti di passaggio dei gas, che a loro volta indicano la presenza di grandi vuoti all’interno del nucleo (Auger et al.). Migliaia di tipi di rocce sono state identificate e presentano numerose tracce del rimodellamento dell’intera superficie (Pajola et al., Thomas et al.). I dati raccolti sulle pendenze del terreno hanno permesso di effettuare una stima della resistenza alla trazione del materiale che compone la cometa, che risulta estremamente bassa. Questo risultato suggerisce ancora una volta una formazione lenta avvenuta per accumulo progressivo di materiale poroso (Groussin et al.).
Anche l’interno della cometa è stato analizzato nel dettaglio da Rosetta. I test effettuati in laboratorio prevedono una stratificazione verticale, con un mantello poroso di polvere su uno strato di ghiaccio formato da ricondensazione o sinterizzazione. A conferma di questa previsione, la superficie della cometa si presenta scura e “polverosa”, ma mostra anche zone luminose di ghiaccio d’acqua delle dimensioni di qualche metro (Pommerol et al.). Le forti variazioni diurne nelle emissioni di grani submillimetrici e millimetrici indicano inoltre valori molto bassi di inerzia termica, compatibili con una superficie altamente porosa, simile a regolite, e suggeriscono qualche struttura verticale entro pochi centimetri dalla superficie (Brouet et al., Schloerb et al., Choukroun et al.). Sebbene le osservazioni radar tra Rosetta e il lander Philae siano difficili da interpretare, suggeriscono che il comportamento del materiale sottoposto a campi elettrici subisca variazioni al di sotto della superficie (Ciarletti et al.).
Con un’albedo geometrica del 6%, 67P è sostanzialmente scura come il carbone. Lo spettro infrarosso e visibile del nucleo è privo di segnature particolari e rossastro, compatibile con una composizione di tipo organico (Fornasier et al., Ciarniello et al., La Forgia et al.). Osservazioni nell’ultravioletto lontano (Far Ultraviolet) confermano che la superficie è ricoperta da uno strato omogeneo di materiale e che il ghiaccio non è presente ovunque in grandi quantità (Feaga et al.).
Le misure effettuate con spettrometri di massa e strumenti di telerilevamento hanno permesso di determinare direttamente la composizione della chioma e le sue variazioni nel tempo. Questa informazione è preziosa per poter stabilire la profondità da cui provengono le varie molecole. Ad esempio, la produzione di acqua è debole nelle regioni a bassa illuminazione solare, mentre l’anidride carbonica (CO2) viene emessa sia dalle regioni illuminate che da quelle non illuminate, e questo indica che, a differenza dell’acqua, la CO2 sublima sotto gli strati diurni (Bockelee-Morvan et al.). La cometa contiene anche molecole organiche complesse e le differenze di abbondanze relative tra emisferi estivi e invernali suggeriscono un’evoluzione su larga scala della superficie cometaria (Le Roy et al.). Con questo metodo è stato possibile rivelare anche gli ioni, ed effettuare studi chimici della chioma (Fuselier et al.). Sulla superficie di 67P, lo spettrometro di massa a bordo di Philae ha rilevato un rapporto CO/CO2 significativamente inferiore ad alcune misure provenienti dalla chioma, il che implica ancora una volta una profonda eterogeneità del nucleo (Morse et al.).
Rosetta ha anche esaminato le interazioni tra la chioma e il vento solare (Broiles et al., Nilsson et al.), scoprendo che sono estremamente turbolente e più intense del previsto (Clark et al.), e rivelando la presenza di grani nanometrici e di carica negativa (Gombosi et al.).
Una sorpresa è stata la scoperta di almeno quattro grani con diametri tra i 10 e i 50 cm in orbita attorno al nucleo (Davidsson et al.), così come altri milioni di particelle (Fulle et al.). Da misure ottenute con gli spettrometri di massa sembra che questa polvere abbia la stessa abbondanza di sodio delle condriti carbonacee (una classe primitiva di meteoriti), ma che sia più povero di calcio e abbia un eccesso di potassio (Wurz et al.). Sia le particelle compatte che gli aggregati porosi mostrano masse comprese tra 0.1 e 100 μg e velocità tra 0.3 e 12 m/s (Della Corte et al.). Nessun oggetto con dimensioni maggiori di sei metri è stato rilevato in orbita attorno al nucleo (Bertini et al.). Nel rivelatore di polveri a bordo di Philae è stata trovata una particella di dimensioni millimetriche. Le proprietà del materiale sono compatibili con una particella porosa con una densità di circa 0,25 g/cm3 (Krüger et al.).
Con la sua bassa densità, alta porosità e bassa resistenza alla trazione, questa cometa si rivela fragile agli occhi di Rosetta, ma una serie di simulazioni della storia collisionale nel sistema solare mostrano che è altamente improbabile che si sia formato un corpo di 4 km di diametro con queste caratteristiche e che sia poi sopravvissuto per 4.5 miliardi di anni. Dovrebbe invece trattarsi del frammento di un oggetto più grande che ha subito una o più collisioni (Morbidelli e Rickman). Se da un lato il “collo” della cometa è la regione da cui proviene la maggior parte dei getti, dall’altro è vero che l’erosione è troppo limitata per aver potuto scavare centinaia di metri di materiale cometario. Un attento esame delle immagini di Rosetta, confrontate con una serie di modelli teorici, indica che i due lobi del nucleo di 67P derivano da due oggetti distinti che si sono fusi tra loro a seguito di una collisione a velocità limitata (Rickman et al.).
La cometa 67P racchiude in sé ancora molti misteri. Questo speciale di Astronomy & Astrophysics raccoglie i risultati più interessanti emersi dai dati acquisiti prima del picco di attività, vale a dire prima che la cometa raggiungesse il perielio il 13 agosto 2015. Già in quel periodo Rosetta ha notato una serie di cambiamenti sulla superficie, come ad esempio la crescita di strutture di dimensioni pari a 100 metri associate a ghiacci d’acqua e/o di CO2 (Groussin et al.). I dati raccolti nei mesi estivi e in quelli che verranno si annunciano senza dubbio ricchi di sorprese.