Quando venne rilasciata, esattamente un anno fa dall’ESO, l’immagine qui a fianco che rappresenta il disco protoplanetario attorno alla giovane stella HL Tauri (in breve HL Tau), a 450 anni luce da noi, lasciò tutti a bocca aperta per la sua definizione senza precedenti. La ripresa, una delle prime in assoluto ottenute dal telescopio ALMA a pieno regime, mostrava chiaramente bande scure concentriche nella struttura circolare osservata nelle onde submillimetriche attorno a HL Tau.
Dopo lo stupore, però, gli addetti ai lavori si sono interrogati sull’origine di queste strutture, che sembravano indicare la presenza di pianeti in formazione. E si è acceso un vivace dibattito. La regolare alternanza tra zone ricche di polveri e zone apparentemente sgombre, insieme all’età decisamente piccola in termini astronomici – meno di un milione di anni – del disco, sembravano essere in disaccordo con le predizioni ottenute con le simulazioni al computer riguardanti la formazione e l’evoluzione di dischi protoplanetari per un sistema come HL Tau. Tali simulazioni infatti prevedevano la creazione di una struttura a spirale nel disco, al contrario di quanto osservato, che in più si sarebbe dovuta formare in tempi assai superiori all’età di HL Tau.
Un recente studio condotto da un team di astrofisici dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con l’Università Monash di Melbourne e l’Università di St. Andrews, ha di nuovo rafforzato l’ipotesi che gli anelli scuri rivelati da ALMA siano regioni dove sono effettivamente presenti pianeti in formazione. I ricercatori sono giunti a queste conclusioni grazie a complesse simulazioni al computer che considerano simultaneamente i comportamenti dinamici del gas, della polvere e di tre pianeti di massa simile a quella di Saturno in orbita attorno alla stella centrale. I risultati delle simulazioni riproducono in modo assai dettagliato le osservazioni del telescopio ALMA. «L’aspetto principale su cui si basa questo studio è l’analisi del diverso comportamento tra gas e polvere nel disco nella loro interazione coi pianeti» spiega Giovanni Dipierro, studente di dottorato dell’Università di Milano e primo autore dello studio, pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society Letters. «Mentre la struttura di gas presenta una marcata asimmetria e mostra la ‘consueta’ struttura a spirale attesa in questi casi, l’interazione tra i pianeti, il gas e la polvere presente nel disco genera la formazione di anelli concentrici in appena una decina di migliaia di anni. Ed è proprio su questo che fa leva questo lavoro: poiché ALMA è in grado di osservare la struttura di polvere nel disco, è stato necessario condurre dettagliate simulazioni trattando la dinamica della polvere in maniera opportuna. Quello che si osserva è che risulta molto più facile per i pianeti ‘spazzare’ via la polvere lungo la loro orbita piuttosto che il gas» conclude il ricercatore.
Se dunque è assai probabile che attorno alla stella HL Tau ci siano pianeti di massa ragguardevole, andiamoli a cercare, provando ad osservarli direttamente. Con questa idea, l’astronomo Leonardo Testi (in forza all’ESO e associato INAF) con il suo team, a cui hanno partecipato alcuni colleghi dell’INAF, ha messo in campo il Large Binocular Telescope in Arizona, il grande telescopio binoculare dotato di due specchi principali affiancati da 8,4 metri di diametro ciascuno. Sono così state condotte osservazioni nell’infrarosso, sfruttando l’elevata qualità delle immagini ottenute da LBT con il suo sistema di ottica adattiva e un dispositivo che ha bloccato la luce della stella, permettendo di aumentare il contrasto del disco attorno a HL Tau, per far emergere il flebile segnale emesso da eventuali pianeti presenti al suo interno. L’anello scuro più interno del sistema, situato a 20 unità astronomiche dalla stella (un’unità astronomica equivale alla distanza tra Terra e Sole, pari a circa 150 milioni di chilometri) è risultato invisibile nelle riprese, mentre il secondo, a 30 unità astronomiche, era appena osservabile. Così i ricercatori si sono concentrati sull’anello più esterno, distante 70 unità astronomiche dalla stella, quello considerato più promettente per nascondere la presenza di un pianeta, in una regione dove le instabilità gravitazionali possono aver giocato un ruolo decisivo nella formazione di un corpo celeste di grande massa. Tuttavia, anche lì LBT non è riuscito a individuare nulla. Un buco nell’acqua dunque? Tutt’altro, come spiega lo stesso Testi: «La presenza pianeti nel disco di HL Tau è l’unica opzione realmente plausibile per spiegare le osservazioni ALMA. Se le regioni scure osservate con ALMA fossero completamente sgombre da polveri e gas, dovremmo ritenere che a produrle devono essere stati pianeti molto massicci, probabilmente formatisi per instabilità gravitazionali. E questo è proprio il test che abbiamo condotto con LBT. Il fatto che non abbiamo trovato questi pianeti così massicci, alla portata delle capacità del telescopio, ci ha permesso di dimostrare che questa opzione non è possibile. Rimane però ancora aperto lo scenario – a questo punto molto probabile – che i pianeti siano piccoli e che le zone scure non siano del tutto prive di materia. Ma questo potremo saperlo solo con ulteriori e più dettagliate osservazioni di ALMA e con migliori osservazioni infrarosse, sfruttando le potenzialità dei telescopi della prossima generazione, come l’E-ELT e la meravigliosa ottica adattiva made in Italy di cui sarà dotato!».
Per saperne di più:
- L’articolo Hunting for Planets in the HL Tau disk di Leonardo Testi, A. Skemer, Th. Henning, V. Bailey, D. Defrere, Ph. Hinz, J. Leisenring, A. Vaz, Simone Esposito, Adriano Fontana, Alessandro Marconi, M. Skrutskie, C. Veillet in pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal Letters
- L’articolo On Planet Formation in HL Tau di Giovanni Dipierro, Daniel Price, Guillaume Laibe, Kieran Hirsh, Alice Cerioli, Giuseppe Lodato pubblicato sulla rivistaMonthly Notices of the Royal Astronomical Society