Uno dei grandi misteri irrisolti dell’astronomia è come si formino i campi magnetici di stelle e galassie. I fisici Jonathan Squire e Amitava Bhattacharjee del Department of Energy del Princeton Plasma Physics Laboratory hanno trovato un indizio che potrebbe aiutarci a comprendere meglio il comportamento collettivo delle piccole perturbazioni magnetiche. In un articolo pubblicato a ottobre su Physical Review Letters, gli scienziati affermano che le perturbazioni magnetiche su piccola scala possono combinarsi a formare campi magnetici su scale molto maggiori, come quelli che si trovano in tutto l’Universo.
Squire e Bhattacharjee hanno studiato ciò che accade quando un fluido elettricamente carico come il plasma si avvolge su se stesso generando e poi amplificando un campo magnetico. Gli scienziati sanno che la turbolenza del plasma può dar vita a un sacco di piccoli campi magnetici, ma il meccanismo con cui tali campi possano combinarsi e produrre un unico campo su larga scala è ancora poco chiaro. «Siamo in grado di osservare i campi magnetici presenti nell’Universo», ha spiegato Squire. «Ma attualmente non abbiamo una solida spiegazione teorica che giustifichi la loro esistenza».
L’enigma consiste nell’apparente improbabilità che piccole perturbazioni si fondano a formare qualcosa di più grande e organizzato. La natura ci insegna che l’ordine tende a muoversi verso il caos, non il contrario. Ad esempio, se si aggiunge un goccio di latte al caffè, questo si dissolverà fino a mescolarsi alla bevanda. Anche se non del tutto impossibile, è altamente improbabile che il latte possa tornare a formare la goccia originaria.
Tuttavia, un qualche tipo di organizzazione naturale si verifica di tanto in tanto. Quando si forma tornado, ad esempio, la miriade di perturbazioni presenti nell’atmosfera si fondono in un unico vortice gigante. Ma il tornado alla fine collassa e l’ordine scompare.
Proprio come accade per i tornado, i campi magnetici su larga scala sembrano essere prodotti dalla combinazione di molte perturbazioni. Ma a differenza dei tornado, questi campi magnetici sono persistenti. «Qualcosa sta tenendo insieme questi campi magnetici da miliardi di anni», ha detto Amitava Bhattacharjee. «Ma come fa l’Universo ad ottenere queste proprietà magnetiche persistenti?».
Nell’articolo Squire e Bhattacharjee mostrano che, entro determinate condizioni, i campi magnetici su piccola scala possono unirsi a formarne uno più grande. Dopo aver eseguito numerose simulazioni, gli scienziati hanno scoperto che le piccole perturbazioni si possono combinare a formarne una su grande scala quando due zone del fluido si muovono a velocità differenti. «Abbiamo utilizzato una varietà di metodi computazionali e analitici per affrontare il problema da diverse angolazioni», ha detto Squire.
Il team ha utilizzato innanzitutto una serie di simulazioni statistiche, per ottenere una stima del comportamento dell’intero sistema. «Le simulazioni statistiche raccolgono le proprietà di centinaia di simulazioni alla volta senza eseguirle una per una», ha spiegato Bhattacharjee.
«I risultati indicano che piccole fluttuazioni magnetiche possono generare campi magnetici persistenti su larga scala», ha dichiarato Bhattacharjee. «Ma per poter avere una risposta conclusiva circa la persistenza su tempi lunghi bisognerebbe eseguire nuove simulazioni per bassi livelli di dissipazione», una misura della perdita di energia. «È impossibile effettuare simulazioni per i valori di dissipazione analoghi a quelli dei plasmi astrofisici, ma i nostri risultati analitici e computazionali, negli intervalli di valori entro cui sono stati ottenuti, suggeriscono in modo molto chiaro che la sopravvivenza dei campi magnetici su larga scala è possibile».
Queste scoperte potrebbero portare a una migliore comprensione di molti fenomeni astronomici, tra cui la formazione di dischi di materia intorno ai buchi neri o il ciclo di 11 anni di attività del nostro Sole. Le simulazioni non sono ancora in grado di affrontare ogni aspetto di questi complessi fenomeni astronomici, perciò la possibilità di avere modelli semplificati che riproducono il funzionamento di grandi sistemi turbolenti può essere molto utile.