Tra i fenomeni più appassionanti per gli astrofisici che si interessano di meteorologia ci sono sicuramente i famosi vortici di Giove, impetuose tempeste di vento che imperversano nella spessa atmosfera del quinto pianeta del Sistema solare. A causare queste immense trombe d’aria (per usare un eufemismo) sono dei flussi di gas provenienti dalle profondità del pianeta gigante e che soffiano verso l’alto. Questa è la conclusione raggiunta dagli scienziati dell’Università di Alberta (Canada) e dell’Istituto Max Planck (MPS) in Germania dopo ampie simulazioni al computer. I flussi ascendenti sono deviati dagli alti strati di gas nella parte stabile dell’atmosfera e formano dei giganti mulinelli a causa della forza di Coriolis.
Il modello sviluppato recentemente (e di cui si parla su uno studio pubblicato sulla rivista Nature Geoscience) spiega anche perché le tempeste di Giove ruotino in direzione opposta rispetto a quelle osservate sulla Terra e in direzione opposta rispetto alla rotazione del pianeta stesso. Su Giove, i vortici si formano quando – come detto – i gas salgono nell’alta atmosfera; sulla Terra, invece, gli uragani si formano negli strati più basi, dove converge l’aria, per poi salire.
È la prima volta che un modello computerizzato riesce a provare che i vortici di Giove si verificano prevalentemente nelle bande a nord e a sud dell’equatore, cioè proprio dove si trova la Grande Macchia Rossa, un anticiclone gigante nell’atmosfera del pianeta che è rimasto stabile per più tre secoli e abbastanza potente da inglobare la Terra e altri due pianeti simili. Già studi passati avevano puntato l’attenzione sul movimento verticale dei venti come chiave per la persistenza della Grande macchia rossa. La tempesta è diminuita nelle sue dimensioni con una rapidità sempre maggiore di anno in anno, ma ora il tasso di riduzione sta diminuendo anche se il vortice appare comunque più piccolo di 240 km rispetto al 2014.
Il gigante gassoso è dotato di un’atmosfera davvero turbolenta: pensate che venti da est e da ovest trasportano nubi dense di ammoniaca ghiacciata a una velocità di ben 550 chilometri orari. Come detto la rotazione dei vortici su Giove è particolare: in senso orario a nord e in senso antiorario nell’emisfero sud. Johannes Wicht del MPS ha spiegato: «La nostra simulazione ad alta risoluzione dimostra che l’interazione tra i movimenti nel profondo del pianeta e lo strato stabile esterno è cruciale».
Essendo un pianeta gassoso, Giove è costituito principalmente da idrogeno ed elio, un mix che diventa metallico, vista l’alta pressione a cui viene sottoposto, nonché conduttivo elettrico. Negli strati esterni di Giove, il gas esiste nella sua forma non metallica e le misurazioni suggeriscono che la parte più esterna di questo livello, che ospita gli eventi meteorologici osservabili dalle sonde, è stabilmente stratificata. Proprio questo strato è stato oggetto dello studio. «Abbiamo effettuato la simulazione solo sui 7.000 chilometri più alti dello strato non metallico, in quanto il campo magnetico rallenta sensibilmente le dinamiche nelle regioni più profonde. Il 5% di questo strato corrisponde ai 350 chilometri più esterni che sono stabilmente stratificati», ha spiegato un latro scienziato tedesco, Thomas Gastine.
Cosa hanno scoperto? I gas, spinti dal calore proveniente dall’interno del nucleo del pianeta gigante, salgono verso l’alto (pensate all’acqua in ebollizione in una pentola), ma gli strati d’aria sovrastanti formano una sorta di barriera e li bloccano così da farli espandere orizzontalmente e in maniera stabile. Wicht ha specificato: «Sotto l’influenza della rotazione planetaria, il movimento orizzontale è anch’esso sottoposto a una rotazione, come si osserva sulla Terra durante gli uragani». La fase successiva è quella discendente: quando il gas si è raffreddato, torna nelle profondità dell’atmosfera. Tutti questi movimenti (il galleggiamento, la rotazione, l’ascensione e la subsidenza) creano le caratteristiche “macchie” che hanno reso celebri le immagini di Giove. Insomma l’eterna “lotta” tra cicloni (gli anelli) e gli anticicloni freddi (le macchie).
«Simulanre le condizioni dell’atmosfera di Giove è difficile dato che molte proprietà di questa regione non sono note», ha aggiunto Gastine. Per arrivare ai loro risultati, i ricercatori si basano sui dati raccolti dalla missione Galileo della NASA, una piccola sonda sganciata da navicella spaziale e penetrata per più di 100 chilometri sotto lo strato di nubi fino alla sua distruzione. La sonda (lanciata nel 1989) trasmise i dati verso l’orbiter per 57,6 minuti, raggiungendo una profondità di 23 Bar. I nuovi calcoli offerti dalla simulazione ci restituiscono un’immagine davvero realistica degli strati superiori dell’atmosfera del pianeta Giove: le correnti dall’interno producono gli anticicloni quasi sempre in prossimità dei poli, oltre alle fasce sopra e sotto l’equatore. Le dimensioni di queste tempeste diminuiscono all’aumentare della distanza dall’equatore. Purtroppo, per adesso, gli esperti non riescono a calcolare con precisione la durata di questi anticicloni, a causa dei dati sulla viscosità dei gas in loro possesso.
Per saperne di più:
Leggi lo studio “Simulation of deep-seated zonal jets and shallow vortices in gas giant atmospheres” di Moritz Heimpel, Thomas Gastine e Johannes Wicht, pubblicato su Nature Geoscience