METÀ DEI “GIGANTI” DI KEPLER NON SONO PIANETI

Credevo fosse un Giove e invece era una stella

Una campagna osservativa, durata cinque anni, condotta con lo spettrografo SOPHIE mostra che, fra i candidati pianeti giganti individuati dalla sonda Kepler della NASA, i falsi positivi sono più della metà. Aldo Bonomo (INAF Torino): “Si tratta perlopiù di stelle binarie a eclisse”

     03/12/2015
Rappresentazione artistica di 51 Pegasi b, il primo esopianeta mai scoperto (nel 1995) in orbita attorno a una stella normale. Crediti: ESO/M. Kornmesser/Nick Risinger

Rappresentazione artistica di 51 Pegasi b, il primo esopianeta mai scoperto (nel 1995) in orbita attorno a una stella normale. Crediti: ESO/M. Kornmesser/Nick Risinger

Il dubbio era nell’aria. Tanto che gli astronomi, nei casi incerti, anteponevano sempre la precisazione “candidati”, quando di volta in volta annunciavano un incremento del numero di pianeti extrasolari individuati dalla sonda Kepler della NASA. C’erano dunque i pianeti confermati, a oggi oltre un migliaio, e quelli in attesa di conferma, i candidati appunto, di gran lunga più numerosi. Quello che però nemmeno i più pessimisti avevano messo in conto era quanto fosse elevata la percentuale di falsi positivi, per lo meno fra i pianeti giganti con periodo orbitale fino a 400 giorni: oltre il 50%, rivela ora uno studio in corso di stampa su Astronomy & Astrophysics.

«Da studi precedenti ci si attendeva una frequenza di falsi positivi significativamente più bassa», dice uno degli autori dello studio, Aldo Bonomo, ricercatore allOsservatorio astrofisico dell’INAF di Torino. «Ci sono state stime in letteratura del 10-20 percento, mentre qui siamo almeno a un fattore due più grande, anche un fattore tre».

Per giungere a questa sconcertante conclusione, il team internazionale di astronomi del quale Bonomo fa parte, guidato da Alexandre Santerne dell’università portoghese di Porto, ha seguito per oltre cinque anni, dal 2010 al 2015, con lo strumento SOPHIE – uno spettrografo installato sul telescopio da due metri dell’Osservatorio dell’Alta Provenza – un campione di 129 fra i candidati giganti di Kepler. A differenza di Kepler, che si affida al metodo dell’occultazione, rilevando dunque le eclissi parziali prodotte dal transito periodico dei pianeti fra noi che li osserviamo e la loro stella madre, per individuare gli esopianeti SOPHIE si avvale della misura delle variazioni della velocità radiale delle stelle stesse, variazioni indotte dalla forza di gravità esercitata dai pianeti in orbita.

Il campione di candidati pianeti rilevati dal telescopio spaziale Kepler selezionati per lo studio con realizzato con SOPHIE. Crediti: Santerne et al.

Il campione di candidati pianeti rilevati dal telescopio spaziale Kepler selezionati per lo studio con realizzato con SOPHIE. Crediti: Santerne et al.

Ebbene, proprio grazie al ricorso a un metodo radicalmente diverso, autonomo e in qualche modo complementare rispetto a quello di Kepler, i dati di SOPHIE hanno consentito di discriminare fra i diversi responsabili delle occultazioni. E di smascherare così chi è stato a trarre in inganno Kepler: nane brune (nel 2.3% dei casi) e, soprattutto, stelle binarie a eclisse (nel 52.3% dei casi). «Si tratta di stelle doppie, o a volte anche stelle che fanno parte di sistemi tripli», spiega Bonomo, «che in determinate condizioni possono produrre un segnale molto simile a quello di un transito planetario».

I prossimi a finire nel mirino saranno i candidati esopianeti più piccoli, comprese le cosiddette superterre. Nel loro caso, prevede Bonomo, la percentuale di falsi positivi dovrebbe essere assai più contenuta. L’ultima parola, comunque, spetta alle misure, che saranno condotte questa volta anche con HARPS-N, lo spettrografo montato sul Telescopio Nazionale Galileo dell’INAF, alle Canarie.

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