La rivista Science tutti gli anni compila una lista dei risultati che, a giudizio dei suoi editors, sono stati i più importanti tra quelli ottenuti nei 12 mesi passati. Quest’anno non ci sono dubbi, i risultati più stupefacenti vengono dallo studio dei corpi minori del sistema solare.
Per intenderci, si chiamano minori tutti i corpi “piccoli” del sistema solare: comete, asteroidi e nanopianeti. Sono piccoli di dimensioni ma l’interesse che stanno suscitando è grandissimo. Per Science il primo posto va diviso tra i risultati della sonda NASA New Horizons, che ci ha tenuti con il fiato sospeso con la sua fuggente visita al remoto ma fascinoso nanopianeta Plutone, e quelli di Dawn (sempre della NASA) in orbita intorno a Cerere, il corpo più grande della fascia degli asteroidi, che ha colpito l’immaginazione di tutti con le sue macchie luminose. Nel mio piccolo, io aggiungerei la missione Europea Rosetta, che ci ha permesso di toccare (quasi) la cometa 67P, così strana con la sua forma di paperetta bitorzoluta.
Per gli scienziati che lavorano all’analisi dati di queste missioni, la vita è un festa mobile perché i dati continuano ad arrivare e le scoperte sono sempre dietro l’angolo. Mentre Rosetta e Dawn sono “sul pezzo” e acquisiscono dati sempre nuovi, New Horizons sta ancora inviando a Terra i dati raccolti durante il fly-by di Plutone del 14 luglio, mentre continua il suo viaggio a caccia di un nuovo oggetto da osservare. Pur sfruttando al meglio la sua strumentazione, la velocità di trasmissione è limitata dalla combinazione tra la distanza siderale della sonda e la potenza disponibile a bordo. Le grandi antenne del Deep Space Network della NASA ricevono i dati al ritmo di pochi kilobit al secondo, meno del più scarso dei modem telefonici. Da cinque miliardi di km, New Horizons non può fare meglio e si prevede che la trasmissione dei dati occuperà tutto il 2016. Questo spiega la lentezza nelle pubblicazione delle immagini raccolte durante il flyby, ma i tempi dilatati sono benvenuti perché offrono la possibilità di studiare in dettaglio ogni immagine e metabolizzare le moltissime sorprese che ci ha riservato il nanopianeta Plutone e la sua luna Caronte.
Nessuno si aspettava una simile varietà di paesaggi in un mondo gelato ai confini del nostro sistema planetario. Grandi pianure, aspre montagne, profondi e lunghissimi canyons sono indici di terreni geologicamente giovani che hanno sorpreso tutti. Combinando immagini prese con diversi filtri è possibile rendersi conto che i diversi paesaggi hanno colori molto diversi a testimoniare una diversa composizione accoppiata ad una diversa storia geologica (Fig 1).
La brillante pianura a forma di cuore che domina le immagini di Plutone è quasi priva di crateri e non può avere più di qualche centinaia di milioni di anni. Verrebbe da pensare a colate laviche che, nei 240 gradi sotto zero di Plutone, devono essere di azoto solidificato. La pianura è delineata da montagne che, a giudicare dall’ombra che proiettano, devono essere alte qualche km. Troppo per essere di azoto solidificato, si pensa piuttosto al più solido ghiaccio di acqua (Fig 2).
Rilievi con increspature che sembrano dune che si estendono per centinaia di km sono dovuti, forse, a movimenti tettonici combinati con la sublimazione del ghiaccio di acqua, di azoto e di metano regolata dall’esposizione al pallido sole (Fig 3).
L’immagine presa mentre New Horizons passava nell’ombra di Plutone mostra che il pianeta è circondato da una strato di foschia bluastra composta da azoto, metano e idrocarburi. E’ appena un centimillesimo dell’atmosfera terrestre ma, pur così tenue, basta per conferire un aspetto magico al pianeta visto in controluce (Fig 4).
Anche Caronte non ha deluso con un impressionante canyon che sembra tagliarlo in due, a riprova di una storia complessa e violenta per la luna di Plutone. Il polo nord ha una vistosa macchia scura e diverse regioni hanno pochi crateri, segno di fenomeni geologici recenti (Fig 5).
Saltiamo dalla periferia del sistema solare alla fascia degli asteroidi, una regione più vicina, tra Marte e Giove, dove si concentrano gli asteroidi, presumibilmente resti di pianeti mai formati o andati distrutti nel corso di collisioni. E qui che la missione Dawn sta orbitando intorno a Cerere, il più grande inquilino della fascia ed il primo ad essere scoperto, 215 anni fa, all’Osservatorio di Palermo da padre Piazzi.
Per una bellissima compilation delle immagini di Cerere consiglio una visita al New York Times.
Le numerose macchie luminose sulla superficie di Cerere sono la peculiarità più evidente di questo oggetto celeste. Prima si è pensato a getti di vapore simili a quelli di Encelado, poi, quando si è capito che non si sviluppavano in altezza, a depositi di ghiaccio. Ovviamente, c’è anche chi ha pensato agli extraterrestri ed è stato sicuramente molto deluso quando l’analisi della composizione del suolo ha rivelato che le macchie sono depositi di sali di solfato di magnesio. Per spiegare la loro presenza, così abbondante in ogni parte dell’oggetto, si pensa che, sotto la superficie, ci sia una strato di acqua molto ricca di sali che viene liberata dall’impatto di piccoli asteroidi. Al contatto con il vuoto cosmico l’acqua evapora lasciando la macchia di sale che sembra brillantissimo perché riflette di più del terreno circostante. In effetti, gli esperti dicono che la riflettività di questo sale è pari a quella dell’asfalto appena posato, ben lontano dal biancore che sembra di vedere nelle immagini. Ha anche stupito gli esperti la presenza nel suolo di ammoniaca, una molecola che, per solidificarsi, ha bisogno di temperature molto più rigide di quelle della fascia degli asteroidi. Cerere ha forse qualche segreto da raccontare? Viene da molto più lontano oppure si è scontrato con un corpo da veniva dalla periferia del sistema solare? Per cercare risposte bisogna acquisire dati più dettagliati e, per farlo, Dawn modificherà la sua orbita per passare più vicino a Cerere.
E che dire della cometa 67P che ha passato gli ultimi 16 mesi in compagnia di Rosetta? L’analisi della sua forma bitorzoluta ha dimostrato che si tratta di un oggetto composito, formato da due pezzi distinti uniti da un ponte di materia che è la sorgente della maggior parte dei gas rilasciato dalla cometa. Gli scienziati si aspettavano di trovare anidride carbonica, acqua, ossido di carbonio ma la cometa li ha sorpresi con molecole di ossigeno che devono risalire al periodo della sua formazione, all’inizio del sistema solare. Non può essersi formato dopo perché sulla cometa non c’è nulla che possa produrre ossigeno, un elemento molto reattivo che reagisce con tutto e si consuma in fretta. Rosetta continuerà a seguire la cometa (chi volesse essere sempre aggiornato consulti il blog http://blogs.esa.int/rosetta/ ) che si sta allontanando dal Sole e poi nella prossima estate finirà la sua missione posandosi sulla cometa e diventando un ospite fisso di questo corpo celeste (che già ospita la piccola sonda Philae).
Termino la lista dei successi dell’astronomia nel 2015 invitandovi ad ammirare la Luna piena che illuminerà i cieli di Natale. La luna piena natalizia è una coincidenza singolare che non si presentava dal 1977 e non si ripeterà fino al 2034. Non è nulla di eccezionale, deriva della combinazione delle ciclicità della Luna nella sua orbita intorno alla Terra (della durata di 29,5 giorni) e della Terra intorno al Sole (della durata di 365,24 giorni). E’ semplicemente l’ultima luna piena dell’anno, ma il fatto che si presenti a Natale mi offre un’ottima occasione per fare gli auguri a tutti.