Non ancora in balia delle onde gravitazionali, ma poco ci manca. Ubbidendo all’equivalente spaziale del celebre “Smithers, libera i cani” di simpsoniana memoria, LISA Pathfinder ha aperto le sue due mani meccaniche, “otto dita” per ciascuna, liberando – quasi – i due cubetti d’oro-platino (4.6 cm di lato per 1.96 kg a testa) che costituiscono il cuore dell’esperimento destinato ad aprire la strada alla ricerca delle elusive onde predette da Einstein.
Quasi, appunto, perché le due masse di test non sono ancora completamente libere di galleggiare nel vuoto. Ma per LISA Pathfinder, il dimostratore per eLISA lanciato lo scorso dicembre e giunto a destinazione – nel primo punto lagrangiano, L1 – il 22 gennaio, dopo un viaggio nello spazio durato sei settimane, si tratta comunque d’una tappa cruciale, che ha tenuto il team dei progettisti con il fiato sospeso fino all’ultimo istante.
«Ora c’è grande eccitazione per il rilascio finale delle massa di prova, perché le impercettibili forze e velocità coinvolte», dice Hans Rozemeijer, payload engineer del satellite, «non potevano essere collaudate a terra: in presenza della gravità, non era fisicamente possibile».
Una procedura talmente delicata, questa del rilascio delle due masse, da essere stata suddivisa in due fasi. Contestualmente all’apertura della mano meccanica avvenuta oggi, il sistema di bordo ha iniziato a pompare verso lo spazio esterno le molecole di gas residue. Un’operazione, questa tesa a ricreare il vuoto spinto attorno alle masse di test, che richiederà un paio di settimane. Una volta completata, l’ultimo dei meccanismi di ancoraggio ancora attivi, il GPRM (Grabbing, Positioning and Release Mechanism) lascerà anch’esso la presa: il 15 febbraio per uno dei due cubi, il giorno successivo per l’altro.
Uscito di scena anche il GPRM, le due masse di test, non più in contatto meccanico con la sonda, saranno libere di fluttuare al centro esatto (errore massimo consentito: 200 micrometri) del loro alloggio iper-tecnologico. Dove un interferometro laser – già attivo dal 13 gennaio scorso – ne rileverà il benché minimo spostamento. A quel punto, siamo al 23 febbraio, si entrerà nel cosiddetto operating mode, con l’intera navicella spaziale intenta a muoversi attorno a uno dei due cubi in caduta libera per mantenere le distanze (4 mm…). L’inizio delle attività scientifiche è in calendario per il primo di marzo.