Gli astrofisici lo chiamano “eccesso di radiazione gamma”, ed è un enigma che li perseguita almeno dal 2009. Un po’ come ispettori dell’Agenzia delle Entrate insospettiti da un’incongruità palese tra il reddito dichiarato d’un contribuente e il suo tenore di vita, gli scienziati vogliono capire a cosa sia dovuta la quantità anomala di fotoni ad altissime energie, una sorta di nebbia diffusa, che sale dal cuore della nostra galassia. Troppo elevata rispetto a quanto sarebbe giustificato dalle sorgenti che si conoscono. Un eccesso, appunto. Che ci sia è fuori discussione: lo ha misurato a più riprese, attorno ai 2 GeV (gigaelectronvolt), quel “redditometro” per le alte energie che è il satellite Fermi della NASA. Ma cosa la produce?
Rispondere non è semplice, anche perché se c’è un luogo caotico è proprio la zona centrale della Via Lattea. Fatto sta che, scartando una possibilità dopo l’altra, una fra le poche carte rimaste in mano agli astrofisici era fino a ieri un’ipotesi a dir poco esotica: a produrre l’eccesso di raggi gamma sarebbe stata l’annichilazione di particelle di materia oscura – per la precisione, di WIMPs. Ora, tenendo conto che nessuno sa esattamente cosa sia, la materia oscura, è facile intuire quanto quest’ipotesi risultasse insoddisfacente. Tanto più che risultati provenenti da altri esperimenti, come per esempio quelli prodotti di recente dal telescopio spaziale Planck dell’ESA, hanno iniziato a porre pesanti ipoteche sull’effettiva possibilità che la dark matter possa annichilare.
Ora però si affaccia sulla scena una possibilità alternativa. All’origine della radiazione gamma apparentemente diffusa (una sorta di nebbia, appunto), leggiamo in due articoli appena pubblicati sull’ultimo numero di Physical Review Letters, ci sarebbero in realtà una miriade di singole sorgenti puntiformi: nella fattispecie, una miriade di millisecond pulsar: vere e proprie trottole spaziali, che girano a velocità elevatissima, con intensi campi magnetici, e quindi molto efficienti nel generare raggi gamma ad alta energia.
Una spiegazione, questa, resa tanto più convincente dal fatto che i due team di ricerca – uno diviso fra Princeton e il MIT e l’altro dell’Università di Amsterdam – siano giunti a questa conclusione in modo del tutto autonomo, seppur in contemporanea, e applicando ai dati di Fermi tecniche d’analisi statistica differenti: la wavelet transformation gli olandesi, e quella detta non-Poissonian noise gli americani (vedi immagine in alto).
«È un’ipotesi molto florida, che andrà verificata con altre misure nei prossimi anni», commenta ai microfoni di Media INAF Pietro Ubertini, direttore dell’INAF IAPS di Roma. «Sicuramente cercheremo, anche con strumenti di più bassa energia, e in futuro con radiotelescopi come lo Square Kilometer Array (SKA), di vedere se si riuscirà a dare una spiegazione. Se si riuscirà, dunque, a scoprire questa quantità notevole di pulsar isolate, una per una, per poter dimostrare, appunto, che la somma di tutti questi piccoli oggetti dà luogo a questa sorta di nebbia che ancora non è stata risolta in maniera abbastanza precisa».
Per saperne di più:
- Ascolta l’intervista di Media INAF a Pietro Ubertini
- Leggi su Physical Review Letters l’articolo “Strong Support for the Millisecond Pulsar Origin of the Galactic Center GeV Excess“, di Richard Bartels, Suraj Krishnamurthy e Christoph Weniger
- Leggi su Physical Review Letters l’articolo “Evidence for Unresolved γ-Ray Point Sources in the Inner Galaxy“, di Samuel K. Lee, Mariangela Lisanti, Benjamin R. Safdi, Tracy R. Slatyer eWei Xue