Sono passati cento anni da quando Albert Einstein formulò la Teoria della relatività generale, teoria che prevedeva anche l’esistenza delle onde gravitazionali, ‘increspature’ dello spazio-tempo prodotte da fenomeni cosmici molto violenti. Oggi è stata dimostrata l’esattezza di tale intuizione, e sarebbe stato davvero bello poter chiedere direttamente al buon Einstein un commento (siamo certi non ce lo avrebbe negato!). Ma non essendo semplice – per ovvi motivi di spazio-tempo – abbiamo sentito per lui Vincenzo Palermo, ricercatore del CNR e autore di un divertente libro sullo scienziato, per sapere quale avrebbe potuto essere in questo caso “La versione di Albert”.
Da ormai una decina d’anni le speranze in tal senso si rincorrevano, l’aspettativa poi negli ultimi giorni era allo spasmo, complice l’ormai celebre tweet del fisico Lawrence Krauss. Ora la notizia c’è: le onde gravitazionali sono state finalmente rilevate e ci troviamo davanti a quella che dai più è ritenuta la scoperta del secolo.
Una conferma indiretta già era arrivata, per esempio, attraverso l’osservazione delle perturbazioni generate da un sistema binario di stelle di neutroni, sistema che perde energia esattamente secondo l’equazione di Einstein, ma le conferme dirette sono arrivate solo oggi con i risultati della collaborazione LIGO-Virgo. La paternità dell’intuizione che ha portato a questa scoperta epocale è però, appunto, di Albert Einstein, che a 60 anni dalla morte è per la scienza quello che Maradona è per il calcio, con milioni di pagine web dedicate e una presenza da record nelle ricerche degli utenti.
Dottor Palermo, che cosa c’entrano con Einstein le onde gravitazionali e quando e come al grande fisico venne l’idea della loro esistenza?
«Sembra che l’idea chiave sia venuta a Einstein vedendo un imbianchino cadere da un’impalcatura . O forse, invece, usò uno dei suoi famosi esperimenti mentali, immaginando un uomo chiuso dentro un ascensore nello spazio. L’uomo nell’ascensore non può sapere se la forza che lo tiene attaccato al pavimento è dovuta alla gravità o all’accelerazione, quindi la conclusione di Einstein era che accelerazione e gravità erano equivalenti, e dovevano avere gli stessi effetti.
Una delle prime sconcertanti conclusioni di questo pensiero era che la gravità era in grado di curvare la luce. Se un raggio di luce entrava da un buco nella parete dell’ascensore, l’uomo lo avrebbe visto curvare, perché la velocità dell’ascensore aumentava ogni secondo a causa dell’accelerazione. Se la luce curvava a causa di un’accelerazione, doveva curvare anche a causa della gravità. Come era possibile ciò, dato che la luce è notoriamente priva di massa?
I marinai sanno benissimo che la rotta più breve per unire due punti su un mappamondo non è mai una linea retta, a causa della curvatura della Terra; Einstein immaginò, in maniera simile, che anche lo spazio fosse curvo come la superficie terrestre. Questo spiegava anche come mai la luce, priva di massa, potesse curvare a causa della gravità. La luce seguiva il percorso più breve dovuto alla curvatura dello spazio. Come nel caso di una nave sulla superficie terrestre, questo percorso non era una retta ma una curva. Quando un oggetto molto pesante accelera, modifica la curvatura locale nello spazio, producendo increspature simili a quelle lasciate da un motoscafo che naviga in mare».
Secondo lei cosa penserebbe Einstein dei tanti esperimenti che nello spazio e da terra sono stati elaborati per cercare di dimostrare le sue teorie? Se lo sarebbe aspettato?
«Certamente. Einstein era spinto da una visione armoniosa del mondo, un’assoluta certezza che l’Universo fosse regolato da leggi semplici e generali. Una delle sue frasi più famose è: “Sottile è il Signore, ma non malizioso”. Il significato della frase, come Einstein spiegò, era semplice: Dio può nascondere all’Uomo le leggi con cui regola l’universo, ma non lo farà mai in maniera ingannevole. Nella visione di Einstein la scienza è come una partita a scacchi tra l’Uomo e Dio. Il premio è la conoscenza dell’Universo. Dio può anche rendere difficile il compito dello scienziato nascondendo la verità in indizi impercettibili, ma non lascerebbe mai indizi falsi per sviare l’indagine scientifica.
“Sono sicuro”, diceva Einstein, “che la natura ci stia mostrando solo la coda del leone. Ma non ho dubbi che il leone sia da qualche parte là fuori, anche se noi non lo possiamo vedere tutto a causa delle sue enormi dimensioni”. Per Einstein le leggi di Dio erano una preda da cacciare, e lui (buono e mansueto di natura) era nella Scienza un cacciatore spietato e implacabile».
Cosa direbbe Einstein oggi se potesse sapere che la sua teoria è stata dimostrata? Rivendicherebbe forse un ulteriore Nobel, soprattutto tenuto conto che quello del 1921 non gli fu attribuito per la teoria della relatività generale?
«Non credo rivendicherebbe un altro Nobel. La massima soddisfazione di Einstein era elaborare una nuova teoria, svelare un altro pezzo del leone. Una volta convinto che la sua idea fosse giusta, le eventuali conferme sperimentali erano per lui quasi scontate. Probabilmente commenterebbe la scoperta delle onde gravitazionali così come fece nel 1919, quando le misure fatte durante un’eclissi confermarono finalmente che la gravità curvava la luce delle stelle. Alla notizia, una sua collaboratrice presente nella stanza si mostrò molto più eccitata e contenta di Einstein, che invece prese la notizia con noncuranza. “Sapevo già”, disse, “che la teoria era giusta”. “Sì”, chiese la donna, “ma cosa avrebbe fatto se gli esperimenti avessero dimostrato che era sbagliata?”. In quel caso mi sarebbe dispiaciuto per il buon Dio; la teoria è giusta”».
Vincenzo Palermo lavora al Consiglio Nazionale delle Ricerche, dove si occupa dello sviluppo di nuovi materiali. Ha appena pubblicato per HOEPLI La versione di Albert, un libro divulgativo sulla vita e le idee di Albert Einstein