Dopo giorni, anzi diciamo settimane, di rumors, voci di corridoio, gossip, mail rubate e tanta attesa, la notizia è arrivata: le onde gravitazionali predette da Albert Einstein 100 anni fa sono state “viste”. Insomma è stata confermata l’esistenza di quelle increspature nel tessuto spazio-temporale provocate da eventi di dimensioni catastrofiche, come per esempio il merging (la fusione) di due buchi neri supermassici (nel caso di questa scoperta si tratta di buchi neri con una massa rispettivamente di 36 e 29 volte quella del Sole), ma anche come l’esplosione di una supernova, la stessa formazione di buchi neri, o il residuo dell’esplosione del Big Bang. Fino a qui, potreste dire, cosa c’è di “complicato”? Insomma perché finora non sono state individuate dai potentissimi strumenti a nostra disposizione? Ebbene, è proprio qui il problema: le onde gravitazionali sono difficilissime da individuare proprio perché il loro passaggio ha effetti quasi invisibili, si parla di milionesimi delle dimensioni di un atomo.
La scoperta annunciata oggi deve tutto a LIGO, cioè il Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory (per noi italiani, osservatorio interferometrico laser per le onde gravitazionali), costruito negli Stati Uniti e voluto dal California Institute of Technology (Caltech) e dal Massachusetts Institute of Technology (MIT), sponsorizzato dalla National Science Foundation (NSF). LIGO sfrutta raggi laser – appunto – per individuare il transito di onde gravitazionali. Pensate che solo la fase di costruzione (terminata nel 1999) è costata 365 milioni di dollari ed è ancora il più grande e più ambizioso progetto mai finanziato dalla NSF. Dal 2002 al 2010 LIGO non ha rilevato alcuna onda gravitazionale, per questo gli strumenti sono stati “spenti” per 5 anni durante i quali i rivelatori sono stati sostituiti e migliorati. L’operazione di revisione (costata in tutto 200 milioni di dollari) ha portato ad Advanced LIGO, cioè un osservatorio che sarà fino a dieci volte più sensibile a questi segnali. Il 18 settembre 2015, Advanced Ligo ha iniziato le sue prime osservazioni scientifiche a circa quattro volte la sensibilità iniziale degli interferometri LIGO e la sensibilità sarà ulteriormente rafforzata fino a raggiungere il massimo intorno al 2021.
LIGO, gli Stati Uniti collegati da nord a sud
Come detto, LIGO si trova negli Stati Uniti e si compone di due impianti gemelli ma separati, gestiti come un singolo e grande osservatorio, a cui può accedere la comunità scientifica mondiale. Le due stazioni si trovano a Livingston, in Louisiana, e a Hanford, nello stato di Washington. A separare i due rilevatori ci sono oltre tremila chilometri: più grande è il rivelatore e più è sensibile (così come accade per grandi network simili). Ed è essenziale la presenza di due o più rilevatori, perché in uno dei siti potrebbero verificarsi micro-terremoti, potrebbe esserci eccessivo rumore acustico, o fluttuazioni del laser e ciò porterebbe a disturbi che, simulando l’onda gravitazionale, renderebbero il risultato fallace. È improbabile, però, che allo stesso momento si verifichino gli stessi disturbi in due luoghi così distanti, da qui l’interazione di più rilevatori.
Osservatori a forma di “L”
Ogni interferometro è lungo 4 chilometri e presenta una forma a “L” (i due bracci sono disposti ad angolo retto). I laser viaggiano avanti e indietro all’interno di tubi a vuoto spinto (diametro 1,2 metri) che permettono di misurare con una precisione elevatissima la distanza degli eventi tra i due specchi di super precisione su cui si riflettono questi raggi. La tecnica utilizzata è quella dell’interferometria: lo specchio semitrasparente suddivide il fascio laser in due parti, poi inviate nei due bracci a “L” dell’interferometro fino a incontrare altri due specchi che rimbalzano il laser. E proprio questi specchi sono i veri sensori: passando attraverso i rilevatori, le onde gravitazionali disturbano, anche se di pochissimo, il viaggio dei fasci laser e questo lieve disturbo è stato finalmente registrato. Questi cambiamenti sono piccoli, anzi piccolissimi: la centomilionesima parte del diametro di un atomo di idrogeno, impercettibili increspature che possono essere rilevate solo isolando le masse di prova da tutti i disturbi provenienti dall’esterno, come appunto le vibrazioni sismiche della terra o le molecole di gas presenti nell’aria (all’interno dei due tunnel, interamente schermati con il cemento, c’è un vuoto ultra-spinto). Le lievi variazioni nelle distanze delle masse sono la prova del passaggio dell’onda gravitazionale.
Triangolazione e collaborazione internazionale
Una volta “catturata” l’onda gravitazionale,per risalire anche all’evento che l’ha generata bisogna capire da dove proviene. E per determinare l’esatta posizione celeste (triangolazione) saranno fondamentali dati provenienti da più strumenti localizzati in diverse parti del mondo. Per questo la “caccia” alle onde gravitazionali impegna ricercatori di diverse istituzioni. Lo stesso LIGO fa parte di un network internazionale di osservatori: ricordiamo anche GEO 600 (vicino ad Hannover, in Germania), TAMA (Tokyo, Giappone) e Virgo (vicino a Pisa, qui in Italia).
Il ruolo di Virgo e dell’Italia
Proprio al software italiano e alla collaborazione LIGO/Virgo dobbiamo l’analisi dei dati che ha portato alla scoperta. A questo proposito, abbiamo chiesto un commento a Valeria Ferrari, professoressa di Relatività generale al dipartimento di Fisica dell’università La Sapienza di Roma, ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), nonché studiosa da anni delle sorgenti di onde gravitazionali. «Sebbene attualmente Virgo non sia ancora in funzione, c’è un accordo tra gli scienziati di Virgo e di LIGO per effettuare insieme l’analisi dei dati e ci sono protocolli severissimi di validazione dei risultati sottoscritti da entrambi. Quindi anche se i dati attualmente sono presi solo dall’esperimento americano, o in futuro potrebbe accadere l’opposto, questi vengono analizzati dalla collaborazione e sono patrimonio comune».
A Ferrari abbiamo domandato cosa cambierà quando Virgo entrerà in funzione: «La rete di rivelatori sarà più potente perché con opportune tecniche di analisi dei dati delle tre antenne sarà possibile ridurre il rumore ed estrarre i segnali con maggiore affidabilità. Inoltre attualmente non è possibile localizzare la posizione di una sorgente, perché i due rivelatori americani non sono sufficienti. Con l’entrata di Virgo le sorgenti potranno essere localizzate in una regione di cielo sufficientemente piccola; questo permetterà di cercare con i telescopi o i satelliti che osservano il cielo nella banda elettromagnetica, le controparti elettromagnetiche delle sorgenti gravitazionali e quindi di avere maggiori informazioni sulle sorgenti e sui processi fisici in gioco. Per esempio, se si osserverà il segnale gravitazionale emesso durante la coalescenza di due stelle di neutroni in coincidenza con un gamma ray burst, potremo stabilire l’origine di questi “lampi” di emissione gamma di grandissima energia, che al momento è ancora sconosciuta».
Ferrari ci ha spiegato, inoltre, che «le onde gravitazionali, a differenza di quelle elettromagnetiche, interagiscono molto poco con la materia. Quindi se una sorgente molto lontana emette onde dei due tipi, mentre le elettromagnetiche arrivano ai nostri rivelatori ormai modificate dalle molte interazioni con la materia che incontrano lungo il cammino, quelle gravitazionali arrivano praticamente inalterate; quindi conservano le informazioni sulla sorgente che le ha emesse. Con le onde gravitazionali potremo studiare, e scoprire, sorgenti molto lontane e magari mai viste prima e questo allargherà moltissimo il nostro orizzonte scientifico. I rivelatori gravitazionali aprono una nuova finestra di osservazione sull’universo».
E infine, qual è il ruolo dell’Italia in questo imponente progetto? «L’Italia è impegnata nella ricerca delle onde gravitazionali dagli anni ’60 del secolo scorso, quando il gruppo diretto dal professor Amaldi costruì le prime antenne che, a quei tempi erano dei cilindri di alluminio di più di 2000 kg», spiega Ferrari. «Negli anni 70 cominciò la costruzione dei rivelatori interferometrici che ha portato all’antenna Virgo di seconda generazione che sta per entrare in funzione. Fin dall’inizio l’INFN ha avuto un ruolo fondamentale, non solo perché ha cofinanziato i vari progetti, ma anche perché ha fornito strutture e personale che ha validamente affiancato il personale universitario. In tutti questi anni l’Italia è stata in prima linea, sia nella realizzazione di tecnologie avanzate (adottate anche dagli americani) che hanno permesso di raggiungere le attuali sensibilità dei rivelatori, sia nello studio teorico e fenomenologico delle sorgenti e dei segnali attesi. Negli ultimi anni, l’interazione tra Virgo e LIGO si è rafforzata attraverso la sottoscrizione di accordi per l’analisi dei dati e di protocolli per la validazione e la comunicazione dei risultati. Si può dire quindi che Italia e Stati Uniti corrono insieme in questa fantastica avventura».
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