Sappiamo da molto tempo che asteroidi e comete, i cosiddetti “corpi minori” del Sistema solare, sono un pericolo reale per la sopravvivenza della vita sulla Terra. Gli scienziati hanno ritenuto a lungo che la maggior parte di questi oggetti concludessero la loro esistenza tuffandosi nel Sole. Uno studio appena pubblicato su Nature dimostra, invece, che i corpi minori del Sistema solare hanno un destino molto più pirotecnico: venire disgregati in regioni lontane dal Sole. Questa scoperta è sorprendente, e riesce a spiegare numerose osservazioni raccolte negli ultimi anni.
Il lavoro di ricerca è stato coordinato da un team di ricercatori provenienti da Finlandia, Francia, Stati Uniti e Repubblica Ceca, che è stato costituito per realizzare uno studio sullo stato dell’arte della popolazione dei Near Earth Object (NEO, ovvero quei corpi potenzialmente pericolosi perché nei pressi dell’orbita terrestre). Lo scopo iniziale era ottenere informazioni utili alla pianificazione delle prossime missioni spaziali dedicate all’indagine degli asteroidi. Il modello ottenuto dagli scienziati descrive la distribuzione orbitale dei NEO e ne stima il numero al variare delle dimensioni.
La stragrande maggioranza dei NEO proviene dalla fascia principale degli asteroidi, la regione localizzata tra le orbite di Marte e Giove all’interno della quale si trovano gli asteroidi più vicini alla Terra. L’orbita di un oggetto che si trovi nella fascia principale subisce piccole variazioni di dovute all’interazione con il Sole o con pianeti giganti quali Giove o Saturno, e questo può farlo arrivare vicino alla Terra. La definizione di NEO richiede che l’oggetto si trovi a una distanza minima dal Sole di 1.3 unità astronomiche (UA, per confronto 1 UA è la distanza media tra la Terra e il Sole).
Il team di ricercatori ha analizzato le proprietà di quasi 9 mila NEO rilevati in circa 100 mila immagini acquisite nel corso di 8 anni dalla Catalina Sky Survey (CSS). Uno degli aspetti più ostici della ricerca è stato determinare quale tipo di asteroidi potessero essere visibili durante l’indagine. Gli asteroidi appaiono come puntini in movimento su uno sfondo di stelle fisse, e la rilevazione di un oggetto di questo tipo dipende essenzialmente da due fattori: quanto è luminoso e quanto si muove rapidamente. Se il telescopio non è puntato nella direzione giusta al momento giusto, ovvero quando l’asteroide è abbastanza brillante e lento per poter essere immortalato, potremmo semplicemente non scoprirlo mai.
Robert Jedicke, membro del team e ricercatore presso l’Istituto di Astronomia dell’Università delle Hawaii, ha sviluppato il software in grado di calcolare la probabilità di rilevare asteroidi con orbite differenti utilizzando la CSS. Un calcolo di questo tipo ha bisogno della conoscenza dettagliata delle capacità dei telescopi e dei rivelatori, oltre ovviamente a un’enorme quantità di tempo di calcolo. Grazie alle simulazioni di distribuzione orbitale e ai dati raccolti dalla CSS, il team è riuscito a produrre il modello più accurato di popolazione dei NEO attualmente disponibile.
Il nuovo modello, però, aveva un problema: prevedeva che ci fosse un numero di asteroidi con orbite entro 10 diametri solari (circa 0.1 UA) almeno 10 volte maggiore di quanto ipotizzato in passato. Il team ha quindi trascorso un anno a verificare i propri calcoli, arrivando alla conclusione che il problema non risiedeva nelle loro analisi, ma nelle assunzioni fatte su composizione ed evoluzione del sistema solare.
Mikael Granvik, ricercatore presso l’Università di Helsinki e autore principale dello studio, ha intuito che il modello sviluppato sarebbe stato in maggiore accordo con le osservazioni se i NEO fossero stati distrutti a breve distanza dal Sole, molto prima di una reale collisione. Il team ha testato questa ipotesi e ha trovato un ottimo accordo tra il modello e la popolazione osservata. «La scoperta che gli asteroidi debbano distruggersi mentre si avvicinano al Sole è stata sorprendente, ed è la ragione per cui abbiamo trascorso tanto tempo a verificare i nostri calcoli», spiega Jedicke.
Questa scoperta ci aiuta a comprendere meglio molte altre discrepanze tra le osservazioni e le previsioni teoriche circa la distribuzione dei corpi minori del sistema solare. Le meteore, comunemente chiamate “stelle cadenti”, sono piccoli frammenti di roccia strappati dalla superficie di asteroidi e comete. Tali frammenti concludono la loro vita bruciando e consumandosi al loro ingresso nell’atmosfera terrestre, dando vita alle scie in rapido movimento che possiamo osservare a occhio nudo nel cielo. Prima di impattare contro l’atmosfera, le meteore viaggiano lungo flussi di materia che seguono il percorso dell’oggetto da cui provengono, ma gli astronomi non sono stati in grado di trovare l’oggetto responsabile per ciascuno sciame osservato. Questo studio suggerisce che tali oggetti si siano completamente distrutti quando si sono trovati troppo vicini al Sole, lasciando dietro di sé una scia di meteore e nessun NEO. Un’altra scoperta derivante da questo studio è che gli asteroidi più scuri si distruggono a distanze maggiori rispetto a quelli più brillanti, il che spiega anche la scoperta, precedente, del fatto che i NEO più vicini al Sole sono anche più luminosi di quelli che si mantengono a distanze maggiori. Questo implica che gli asteroidi scuri e quelli brillanti abbiano una struttura e una composizione interna differente.
Secondo Granvik, questa scoperta della distruzione degli asteroidi prima della loro collisione col Sole permetterà agli esperti di scienze planetarie di comprendere meglio una serie di osservazioni recenti, e porterà ad una profonda crescita in questo campo di ricerca: «Forse il risultato più interessante di questo studio è che ora possiamo testare i modelli che simulano il loro interno semplicemente tracciando le loro orbite e dimensioni. Questo esito è davvero notevole, ed era del tutto inaspettato quando abbiamo iniziato a costruire il nuovo modello per i NEO».
Marco Delbo, già ricercatore dell’INAF – Osservatorio Astronomico Torino, oggi presso l’Osservatorio della Costa Azzurra, ha partecipato allo studio occupandosi del calcolo delle temperature e del modelli di albedo degli asteroidi. «Mi piace molto questo lavoro, perché mostra quanto la luce del Sole sia importante nell’evoluzione degli asteroidi», dice Delbo a Media INAF. «Era già noto che il Sole causa delle alterazioni agli spettri e ai colori degli asteroidi, soprattutto a causa del vento solare. Ma, negli ultimi anni, abbiamo scoperto che queste alterazioni sono molto più importanti di quanto credevamo. I passaggi degli asteroidi a breve distanza dal Sole, ad esempio, possono modificare le superfici di questi oggetti fino a rompere le rocce sulla loro superficie, in seguito a shock termici. Sono convinto che anche il famoso 3200 Phaethon produca le meteore Geminidi a causa di shock termici, ma dobbiamo ancora scoprire i dettagli di questo processo».
- Per saperne di più:
Leggi su Nature l’articolo “Super-catastrophic Disruption of Asteroids at Small Perihelion Distances“, di Mikael Granvik, Alessandro Morbidelli, Robert Jedicke, Bryce Bolin, William F. Bottke, Edward Beshore, David Vokrouhlicky, Marco Delbo e Patrick Michel.