Di nome fa Helios, come la divinità greca dell’astro solare. Ed è un astrofisico di Perugia e associato INFN che fa parte della collaborazione LIGO/Virgo, al cui lavoro dobbiamo l’annuncio della prima rivelazione di onde gravitazionali che tanto ci ha appassionato in questi giorni. Ma alle onde gravitazionali, Helios Vocca, è legato anche per un’altra ragione: due lettere. Non due email, ma proprio due lettere di carta, due lettere del secolo scorso. Del 1952, per la precisione. Due lettere ricevute dal nonno paterno, e che oggi Vocca conserva gelosamente. Ne ha due copie davanti agli occhi anche nel suo studio proprio ora, presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Perugia, dove Vocca insegna Laboratorio di Fisica. Due lettere che hanno come mittente Albert Einstein.
In occasione della conferenza pubblica che si è tenuta proprio a Perugia lunedì scorso, 15 febbraio, a seguito dello storico annuncio del risultato di LIGO/Virgo, noi di Media INAF abbiamo raggiunto Vocca e gli abbiamo posto qualche domanda per conoscerlo meglio. Il ritratto di famiglia che ci ha consegnato non lascia spazio ad interpretazioni: il suo destino sembra davvero scritto tra le stelle.
Helios lei, Sirio suo padre… mai come nel suo caso, nomen omen: da dove viene questo nome così particolare, che sembra tracciare già un destino tra le stelle?
«La storia della mia famiglia è davvero molto particolare ed è certamente stata alla base della mia crescita culturale ed intellettuale. Mio nonno paterno era Paolo Vocca, da me mai conosciuto, un astronomo dalla personalità molto dinamica e attiva verso tutto ciò che riguardava la logica e la ragione, passione trasmessa al suo unico figlio a cui diede il nome della stella Sirio. Il nonno si era sposato con una pittrice, Carolina Casciaro, figlia del più famoso Giuseppe Casciaro e questa fusione tra scienza ed arte ha plasmato da sempre la vita di mio padre e di seguito la mia. Quanto alla nonna materna, per me ‘Mimma’ (nipote anch’essa di un noto pittore: Antonio Mancini), si sposò anche lei con un artista, ma nel campo musicale, Fernando Germani, famosissimo organista. Il connubio tra la famiglia di mio padre, con inclinazioni scientifico artistiche, e quella di mia madre con inclinazioni pittorico-musicali, ha dato vita a mia sorella e me, chiamati Selene ed Helios (oltre ad un’altra sorella chiamata Marisa, per altri motivi familiari). In seguito, con Sandra, la mia compagna di vita, abbiamo avuto due figli chiamati Enrico e Maia, in onore di Fermi e di una delle Pleiadi.».
Quanto la sua “costellazione familiare” ha influito sulle sue scelte professionali?
«Sono cresciuto con gli studi di mio nonno Paolo e con quelli di mio padre, ingegnere e per molti anni direttore delle ferrovie complementari della Sardegna, anche lui con una forte passione scientifica. Fin da piccolo davanti agli occhi ho avuto le opere artistiche dei pittori Antonio Mancini e Giuseppe Casciaro, ma anche di molti altri artisti di quel periodo, dal momento che mio bisnonno Casciaro aveva una collezione d’arte abbastanza nota a Napoli. Oltre a questo, sono cresciuto con la musica di Bach nelle orecchie, suonata da mio nonno Fernando sia ai concerti a Roma e dintorni, dove noi bambini venivamo portati, sia durante tante ore di esercizio che mio nonno eseguiva quando andavamo a trovarlo nella sua casa all’Aventino. Questo mix di scienza e pittura, corredati dalla colonna sonora di Bach, mi ha fatto capire quanto la conoscenza umana in tutti i settori fosse strettamente connessa. Ancora oggi ai miei studenti continuo a ripetere che la fisica è assolutamente una forma d’arte, figlia come le arti figurative e musicali, dei propri tempi e del pensiero umano più ampio. In fondo le teorie fisiche, come le opere d’arte, costruiscono e studiano dei modelli della realtà, dunque in senso generale quale differenza sussiste tra loro se non il linguaggio?»
Veniamo al nonno e alla sua corrispondenza con Einstein. Cosa si scrivevano, lui e Albert?
«Le due lettere vennero scritte a mio nonno Paolo da Einstein in risposta a delle richieste di chiarimenti su effetti della relatività generale che il nonno gli aveva inviato. Particolare effetto mi fa ancora vedere che sulla seconda lettera, Albert Einstein saluta mio nonno, prima con scrittura a macchina formale, in seguito corretta con l’aggiunta di un saluto più affettuoso scritto a mano. Altro aneddoto ‘curioso’ è il fatto che, dal momento che in quel periodo (era il 1952) Einstein si trovava a Princeton, negli USA, mio nonno scrisse la sua prima missiva in inglese, ma ebbe la risposta in tedesco, come se Einstein volesse ricordare le proprie origini, mai dimenticate».
Lei è oggi uno degli scienziati della collaborazione LIGO/Virgo. Qual è stato il suo contributo al risultato annunciato al mondo l’11 febbraio?
«La rivelazione delle onde gravitazionali è stato, in un certo senso, un chiudere il cerchio. Si trattava infatti di ingegnarsi per aggiungere tramite esperimenti scientifici, una colonna sonora, o meglio, la musica, all’universo… cosa che fino al 14 settembre 2015 era ancora assente. Per fare questo il mio impegno, come quello di altri miei colleghi perugini, urbinati e romani per Virgo, e di Glasgow, tra gli altri, per Ligo, era quello di lottare, tramite delle sospensioni particolari sviluppate nei nostri laboratori, contro uno dei mostri più indomabili della fisica, il rumore… ed in particolare contro quella che possiamo definire ‘la madre di tutti i rumori’: il rumore termico. Si trattava in un certo senso di sviluppare delle tecniche per stanare questo ‘mostro’ e, se non eliminarlo dal momento che è impossibile, spostarlo verso regioni in cui non sia d’impiccio, liberando la musica che pervade l’universo intero! In tutto questo, un vanto del gruppo in cui lavoro (il gruppo NiPS – Noise In Physical System) è che non solo siamo riusciti nell’impresa di spostare il mostro, ma anche in parte ad addomesticarlo, sviluppando una tecnica nuova – che abbiamo anche brevettato e per la quale ho costituito uno spin-off universitario, ‘Wisepower’, insieme al prof. Luca Gammaitoni – per estrarre energia dal rumore stesso per l’alimentazione di dispositivi di microelettronica (il cosiddetto energy harvesting)».
Cosa si aspetta per il futuro dopo questa sensazionale scoperta? E oltre che il futuro della fisica, cambierà in qualche modo anche il suo, di futuro?
«Chiaramente al momento c’è una grande emozione nell’essere riusciti, ovviamente insieme ad un migliaio di persone, nell’impresa titanica di rivelare le onde gravitazionali, coscienti del fatto che abbiamo appena sentito il primo suono dell’universo e moltissimo deve essere ancora fatto prima di ascoltarne la musica. Ma altra incredibile soddisfazione è che per fare tutto questo è servito costruire, oltre a macchine straordinarie, anche un’orchestra incredibile formata da migliaia di ricercatori che sono tutti coordinati per questo unico grande obiettivo. L’auspicio per il futuro, mio e della fisica tutta, è di riuscire ancora a suonare in armonia con questa orchestra straordinaria e riuscire finalmente ad ascoltare il Bach nascosto nell’universo».