INTERVISTA AL PRESIDENTE DELLA SIGRAV

Salvatore Capozziello: «È un trionfo per la Fisica»

Perché le onde gravitazionali sono così deboli? Anche noi ne solleviamo, per esempio quando acceleriamo con l’auto o freniamo al semaforo? Tutto quello che avreste voluto sapere sulle onde gravitazionali (ma non avete mai osato chiedere), Media INAF lo ha chiesto per voi al Presidente della Società Italiana di Relatività Generale e Fisica della Gravitazione

     24/02/2016

onde gravitazionaliPer la prima volta nella storia della scienza, quasi 100 anni dopo che Albert Einstein le aveva predette, i fisici che lavorano all’esperimento Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory (LIGO) hanno rivelato un segnale estremamente debole prodotto circa 1,3 miliardi di anni fa dalla collisione di due buchi neri: stiamo parlando delle onde gravitazionali. Si tratta di un risultato senza precedenti, che apre una nuova finestra nello studio dell’Universo e che allo stesso tempo rappresenta l’inizio di una avventura che permetterà agli scienziati di esplorare regioni del cosmo che erano considerate escluse dalle osservazioni.

I risultati ottenuti da LIGO, annunciati lo scorso 11 febbraio durante una conferenza stampa tenutasi a Washington DC presso la National Science Foundation (NSF) e, in contemporanea, a Cascina (Pisa) presso i laboratori EGO-VIRGO, contengono due scoperte: la prima rivelazione sperimentale diretta delle onde gravitazionali e la prima evidenza della fusione di un sistema binario di buchi neri, un evento estremamente energetico predetto per via teorica e che non è mai stato osservato. L’articolo scientifico, pubblicato su Physical Review Letters con il titolo “Observation of Gravitational Waves from a Binary Black Hole Merger”, è a firma della collaborazione scientifica LIGO e di quella di un altro importante interferometro, per l’appunto VIRGO. In un secondo articolo vengono invece evidenziate le implicazioni astrofisiche dei risultati ottenuti dall’interferometro.

Ma per approfondire questi temi e capire meglio qual è il significato di questa scoperta, Media INAF ha posto alcune domande a Salvatore Capozziello del Dipartimento di Fisica dell’Università di Napoli “Federico II” e Presidente della Società Italiana di Relatività Generale e Fisica della Gravitazione (SIGRAV).

Salvatore Capozziello

Professor Capozziello, come si genera un’onda gravitazionale e qual è la sua velocità di propagazione?

«Un’onda gravitazionale è generata dal collasso gravitazionale di corpi celesti, come eventi di supernovae, formazione di buchi neri, o da eventi di merger molto violenti, come scontri tra stelle di neutroni, scontri tra stelle di neutroni e buchi neri e scontri tra buchi neri. È importante notare che tali processi devono essere, in qualche modo, asimmetrici, poiché se il collasso è simmetrico (cioè sferico), non si ha emissione di radiazione gravitazionale. Questa situazione è dovuta al teorema di Birkhoff, uno dei teoremi fondamentali della relatività generale, per il quale se una soluzione delle equazioni di Einstein è a simmetria sferica, allora tale soluzione è anche statica e stazionaria. In altre parole, se una stella collassante o un buco nero sono perfettamente sferici, il collasso avviene in modo uniforme senza emissione gravitazionale. Tecnicamente, un’onda gravitazionale è una deformazione dello spaziotempo. L’onda gravitazionale è una perturbazione dello spaziotempo che viaggia alla velocità della luce. In altre parole, il “portatore” dell’interazione gravitazionale, il cosiddetto gravitone, si propaga alla velocità del “portatore” dell’interazione elettromagnetica, cioè il fotone. Entrambi sono particelle di massa nulla. La differenza fondamentale è però che il fotone può essere assorbito, riflesso e rifratto mentre il gravitone passa attraverso tutti i mezzi indistintamente».

Davvero ogni massa che accelera genera un’onda gravitazionale, per quanto debole, per esempio anche noi quando partiamo o freniamo con l’auto?

«In effetti, ogni massa che accelera può dar luogo ad un’onda gravitazionale, sempre che sia violato il teorema di Birkhoff di cui parlavamo prima, cioè il processo di generazione dell’onda non deve avere simmetria sferica. Quindi una palla elastica che rimbalzando si deforma, una frenata dell’auto, un velocista che parte dai blocchi sono fenomeni che, in principio, originano un’onda gravitazionale, cioè una deformazione dello spaziotempo. La debolezza intrinseca del fenomeno (per fortuna per noi, altrimenti vivremmo in un mondo con terribili distorsioni spaziotemporali!) è dovuta al fatto che le equazioni di Einstein prevedono un accoppiamento debolissimo con la materia. Concretamente questo vuol dire che la materia e lo spaziotempo, in condizioni normali, interagiscono poco. Più tecnicamente, la curvatura dello spaziotempo e la distribuzione di materia sono legati tramite un fattore di proporzionalità che è una potenza inversa della velocità della luce elevata alla quarta. La velocità della luce è di 300 mila chilometri al secondo. Se si eleva questo numero alla quarta e se ne fa l’inverso, si ritrova un numero piccolissimo. In più, tale numero deve essere moltiplicato per la costante di gravitazione universale di Newton, piccolissima anche essa, che si accoppia a tutti i corpi dotati di massa. Il risultato di tutto ciò è che occorrono corpi densissimi e molto massicci per dar luogo a onde gravitazionali rivelabili. Lo stesso Albert Einstein, quando ipotizzò le onde gravitazionali nel suo famoso articolo del 1916, poi ripreso nel 1918, non credeva possibile la loro rivelazione. Va detto però che a quel tempo non erano noti fenomeni astrofisici come le stelle di neutroni, i buchi neri e il collasso gravitazionale. Tali fenomeni coinvolgono gli oggetti più densi e massicci dell’Universo che, da quanto detto sopra, compensano la piccolezza dell’accoppiamento gravitazionale».

Che relazione c’è tra i fenomeni astrofisici che generano onde gravitazionali e la frequenza delle onde emesse? Cioè, maggiore è la massa e più alta risulta la frequenza?

«Come nel caso delle onde elettromagnetiche, la frequenza delle onde gravitazionali rappresenta una sorta di “impronta digitale” dell’oggetto emittente. In altre parole, l’onda gravitazionale è una soluzione delle equazioni di Einstein i cui parametri sono determinati dalle caratteristiche del sistema fisico emittente. Quindi la massa, l’energia, il momento angolare e le altre grandezze fisiche della sorgente determinano la forma dell’onda e la sua frequenza. Ad ogni oggetto dotato di massa, in principio, corrisponde una data frequenza gravitazionale. Anche per l’Universo stesso, possiamo parlare di “fondo stocastico” delle onde gravitazionali, cioè la distribuzione di masse e fenomeni gravitazionali presenti nell’Universo dà luogo ad un fondo di onde gravitazionali, proprio come osserviamo un fondo a microonde per il campo elettromagnetico. La stessa dinamica evolutiva dell’Universo, regolata dal campo gravitazionale, dà luogo ad onde gravitazionali. In sintesi, la risposta alla domanda è sì: ogni oggetto dotato di massa ha una propria frequenza gravitazionale che dipende dalla massa dell’oggetto stesso».

Veduta aerea di LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory). Lo strumento è dotato di due ricevitori negli Stati Uniti, uno a Livingston, Louisiana, e l’altro a Hanford, Washington. Crediti: LIGO

Che cosa ha rivelato esattamente LIGO e come facciamo ad essere certi che abbiamo osservato un’onda gravitazionale?

«L’interferometro LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory) è un enorme tunnel a vuoto a forma di “L” alle cui estremità si trovano degli specchi in sospensione. Un raggio laser, emesso nell’interferometro, rivela le deformazioni causate dalle onde gravitazionali, una volta che tutti gli eventuali “rumori” e fattori di disturbo esterni siano stati eliminati. Per questo si utilizzano tunnel a vuoto. Le distorsioni rivelabili sono dell’ordine di 10-18 m (parliamo cioè di almeno 8 ordini di grandezza al di sotto della lunghezza di un atomo!). L’esperimento LIGO, nel suo insieme, è costituito da 2 interferometri, uno a Livingston (con bracci di 4 km) ed uno ad Hanford (con bracci di 2 km), ad una distanza di circa 3000 km, situati entrambi negli Stati Uniti. LIGO ha osservato un segnale modulato in frequenza da 35 a 250 Hz (frequenze sonore) con una deformazione relativa dovuta all’onda gravitazionale (il cosiddetto “strain”) dell’ordine di 10-21. Un numero puro incredibilmente piccolo, senza dimensioni fisiche, che ci dà un’idea della sensibilità dello strumento. La stessa forma d’onda, nello stesso intervallo di frequenze, della stessa durata complessiva di frazioni di secondo, è stata rivelata contemporaneamente dall’interferometro di Livingston e da quello di Hanford. Tutte le analisi comparate e i test svolti dal 14 Settembre 2015 fino all’11 Febbraio 2016, confermano il segnale con una confidenza di “5 sigma”, che, per chi è un po’ esperto di statistica, corrisponde alla completa affidabilità della misura ottenuta. Perché siamo sicuri che si tratti di un’onda gravitazionale? Perché la forma e la frequenza dell’onda rivelata riproducono esattamente le fasi di un collasso di buchi neri così come previsto dalla teoria della relatività generale. In pratica, la forma d’onda corrisponde esattamente alle fasi di “inspiral”, “merger”, e “ringdown” dopo le quali, a partire da due oggetti compatti di 36 e 29 masse solari, si perviene alla formazione di un oggetto di 62 masse solari con il rilascio di 3 masse solari in energia gravitazionale! Una quantità di energia pazzesca! Questi oggetti collidono ad una velocità che è circa la metà di quella della luce e sono posti ad una distanza di 1,3 miliardi di anni luce. Tutti questi parametri si possono ricavare dalla forma d’onda e dall’intervallo di frequenze osservate. A valle di tutti i test eseguiti in questi mesi, siamo certi che si tratta di un’onda gravitazionale emessa come risultato di un collasso di 2 buchi neri massicci. Credo, senza il minimo dubbio, che questa sia una delle misure sperimentali più precise e affidabili mai eseguite».

La figura illustra la sequenza del processo di merging di due buchi neri di 29 e 36 masse solari, situati a circa 1,3 miliardi di anni luce. Da sinistra a destra, si nota la fase di ‘inspiral’, cioè la danza stellare che vede i due oggetti orbitare l’uno attorno all’altro, il ‘merger’, cioè il momento in cui i due oggetti collidono, e la fase di ‘ringdown’, relativa alla formazione di un oggetto più massivo di 62 masse solari. Il quarto pannello mostra la fase dell’emissione delle onde gravitazionali che si dipartono dalla sorgente verso lo spazio e di cui l’interferometro LIGO ha catturato le flebili vibrazioni che hanno raggiunto la Terra lo scorso il 14 settembre 2015. Infine, l’ultimo pannello mostra le due forme d’onda, rivelate dai due interferometri LIGO, che tradotte in suono diventano simili a una sorta di ‘cinguettio’ (o chirp), che possiamo paragonare all’eco della collisione dei due buchi neri. Crediti: LIGO, Caltech, M.I.T., Simulating eXtreme Spacetimes project By Jonathan Corum

Dunque la notizia sarebbe che l’interferometro funziona e che perciò il merger di due buchi neri non è solo teoria. È così? Qual è la lezione che impariamo da questo risultato ottenuto da LIGO?

«Si. Possiamo senz’altro dire che l’interferometro funziona e che il merging di buchi neri non è solo teoria. La lezione che impariamo da questo risultato è importantissima. Da un lato abbiamo che l’interferometria gravitazionale può portare a risultati estremamente interessanti, impensabili fino a qualche anno fa, dall’altro, che investire in ricerca di altissima precisione è una strategia vincente. Direi che la rivelazione delle onde gravitazionali è un trionfo di tutta la Fisica, da quella teorica a quella più genuinamente sperimentale. Il risultato teorico, a cui Einstein pervenne cento anni fa, impensabile da dimostrare allora, oggi è stato effettivamente testato da un esperimento. Da un punto di vista sociologico, questo dovrebbe insegnare molto a chi sostiene che la ricerca di base, con risultati applicativi non immediati, non serve a nulla».

L’interferomentro VIRGO, nella campagna pisana. Crediti: EGO-VIRGO

Una volta che anche l’interferometro VIRGO entrerà in funzione, quale sarà il suo ruolo principale? Ad esempio, sarà possibile individuare meglio la posizione celeste delle sorgenti?

«Riguardo a VIRGO, è bene sottolineare subito che l’evento è accaduto nella fase di “upgrading” dell’interferometro. Se VIRGO fosse stato operativo, avrebbe visto sicuramente lo stesso fenomeno. Purtroppo in astrofisica c’è l’aspetto della cosiddetta “serendipity” per cui molti fenomeni non sono prevedibili ma vanno colti al momento. In ogni caso, la collaborazione è LIGO-VIRGO, nel senso che, se l’evento fosse avvenuto in fase di upgrading al contrario (cioè LIGO spento e VIRGO acceso), tutta la collaborazione ne avrebbe beneficiato. In più, l’interferometro VIRGO ha caratteristiche simili a quelle di LIGO. I bracci di VIRGO sono di 3 km e i protocolli di ricezione e analisi dei segnali sono gli stessi. Nel momento in cui anche VIRGO sarà operativo, l’analisi e la determinazione delle sorgenti di onde gravitazionali risulteranno molto più precise. Sarà possibile una migliore mappatura del cielo con l’opportunità di rivelare molti più eventi del tipo in esame. A regime, dovremmo rivelare sistematicamente merging di oggetti astrofisici compatti ed eventi di collasso gravitazionale. Se si riuscirà a correlare tutti gli interferometri esistenti in giro per il mondo, penso a LIGO negli USA, VIRGO in Italia, KAGRA in Giappone, GEO in Germania, LIGO-India e gli altri costruiti e/o in costruzione, potremo veramente parlare di astronomia gravitazionale e di “survey” gravitazionali».

Per concludere, siamo veramente all’alba dell’astronomia gravitazionale?

«Credo senza ombra di dubbio che siamo all’alba dell’astronomia gravitazionale con la possibilità di svelare cose veramente importanti. Si pensi che le osservazioni di oggetti compatti nell’Universo, oggi, sono esigue e che l’astrofisica relativistica osservativa è solo agli albori. A mio avviso, se si riuscirà, in modo sistematico, a correlare in una visione unitaria le informazioni provenienti dai fenomeni elettromagnetici, dai neutrini e dalle onde gravitazionali (il cosiddetto “multi-messenger”), credo che potremo avere una visione nuova e dettagliata dell’Universo. Per fare un paragone, penso a Galileo: quando inventò il telescopio aprì un “nuovo cielo”, molto più ampio delle concezioni tolemaica o copernicana allora attuali. Credo che quello che sta accadendo ora sia simile. L’astronomia gravitazionale potrà aprire davvero l’accesso a nuovi mondi. Vorrei fare un paragone con la recente scoperta del bosone di Higgs. In quel caso si è avuta una conferma eccezionale del modello standard delle particelle: mancava all’appello il componente più importante, la particella in grado di dare “massa” alle altre particelle. La cosiddetta “particella di dio”. Insomma, con la scoperta del bosone di Higgs si è chiuso un paradigma, tanto è vero che ora molti enti di ricerca sono in fase di “what next”. Con la scoperta delle onde gravitazionali, invece, si è aperta una nuova e vastissima prospettiva. Penso all’astrofisica che dovrà fare i conti con una nuova “radiazione”; penso alla fisica teorica che, per la prima volta, possiede un test diretto della gravitazione in campo forte e quindi sarà in grado di distinguere sperimentalmente tra le varie teorie; penso alla fisica di precisione, poiché la rivelazione delle onde gravitazionali pone sfide tecnologiche estremamente sofisticate. In conclusione, credo che ne vedremo delle belle».