Captare i raggi cosmici, particelle a energie che più elevate non si potrebbe, con antenne radio, dunque ricevitori per onde elettromagnetiche di bassa frequenza. Sembrerebbe un ossimoro, eppure ci sono riusciti i radiotelescopi di LOFAR, una rete europea di 25 mila antenne – distribuite tra Olanda, Germania, Regno Unito, Francia e Svezia – progettate appunto per captare le deboli onde radio provenienti dall’universo lontano.
«Sono particelle molto energetiche, è vero, ma quando interagiscono con l’atmosfera creano uno sciame di particelle secondarie, meno energetiche, che possono essere rilevate a terra», spiega ai microfoni di Media INAF Laura Rossetto, ricercatrice alla Radboud University, nei Paesi Bassi, e coautrice d’uno studio appena pubblicato su Nature. Come? «Ci sono diversi modi per farlo: ci sono i rilevatori standard, che catturano la particella che traccia il segnale. Ma ora c’è anche il metodo da noi utilizzato, basato sulla rilevazione delle onde radio, a frequenze tra i 30 e gli 80 MHz».
Il metodo al quale fa riferimento Rossetto – descritto sin dagli anni Sessanta ma che oggi, per la prima volta, si è dimostrato davvero efficace grazie ai progressi compiuti nel frattempo dell’elettronica – sfrutta il fatto che le antenne di LOFAR captano, di tanto in tanto, impulsi ultrarapidi: una sorta di crepitio simile ai disturbi che spesso ci capita di sentire quando ascoltiamo la radio. Normalmente ignorati dai radioastronomi, questi segnali sono in realtà una sorta di SOS, l’ultimo grido d’aiuto, prima di disintegrarsi, lanciato da particelle entrate nell’atmosfera terrestre a velocità prossime a quella della luce.
«Ora siamo in grado di identificare il proiettile», dice Heino Falcke, anch’egli della Radboud University e coautore dello studio, a proposito della nuova tecnica inaugurata con LOFAR. «Proiettile che in molti casi si rivela essere un singolo protone, o il nucleo di un atomo leggero come quello di elio». Raggi cosmici, appunto: materia sparata attraverso il cosmo da “acceleratori di particelle” naturali di potenza inimmaginabile – milioni di volte quella che si può raggiungere al CERN con LHC. Acceleratori naturali come possono essere le esplosioni di supernove o i buchi neri.
«La loro enorme energia porta la maggior parte degli astrofisici a supporre che queste particelle cosmiche abbiano origine nell’universo più profondo, per esempio dai buchi neri di altre galassie», aggiunge il primo autore dello studio, Stijn Buitink, dalla Vrije Universiteit di Bruxelles. «Noi però riteniamo che provengano da una sorgente più vicina, e che ad accrescere la loro energia sia un acceleratore cosmico interno alla nostra galassia, la Via Lattea: forse una stella di grande massa».
In ogni caso, che a produrre i raggi cosmici intercettati da LOFAR siano sorgenti remote o relativamente vicine a noi, il risultato più importante, fra quelli descritti oggi su Nature, è la dimostrazione che il metodo funziona. «Secondo me», osserva infatti Rossetto, «la tecnica radio rappresenta il futuro per la ricerca dei raggi cosmici. Perché è vero che grandi esperimenti, come Auger, già coprono una superficie elevata, ma usano rivelatori che sono estremamente costosi, dunque ormai siamo arrivati al limite. Le antenne radio, al contrario, costano relativamente poco, quindi consentono di coprire superfici molto più estese».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature l’articolo “A large light-mass component of cosmic rays at 1017–105electronvolts from radio observations”, di S. Buitink et al.
- Leggi su Media INAF l’articolo “Come scocca la saetta? Te lo dice LOFAR“
Guarda su INAF-TV l’intervista a Laura Rossetto: