Maria Cristina De Sanctis, ricercatrice presso dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali dell’INAF, a Roma, è una planetologa specializzata nello studio della composizione della superficie di piccoli oggetti nel nostro Sistema solare e un’esperta nella progettazione di strumentazione per missioni spaziali, soprattutto per l’analisi spettrale e l’evoluzione termica dei corpi planetari. È coinvolta in un grande numero di progetti, tra quelli in corso ricordiamo Dawn, in cui è P.I. dello strumento VIR, ma soprattutto ExoMars, la sonda ESA che vuole raggiungere Marte. La partenza della prima sonda di cui è composto il programma ExoMars è prevista per il prossimo 14 marzo dal cosmodromo di Bajkonur. A bordo della sonda che costituirà la seconda parte della missione ExoMars, più precisamente a corredo del rover che esplorerà Marte a partire dal 2018, c’è Ma_MISS (Mars Multispectral Imager for Subsurface Studies), strumento realizzato con il supporto dell’Agenzia Spaziale Italiana del quale Maria Cristina è Principal Investigator. Le abbiamo fatto qualche domanda per conoscerla meglio.
Laurea in fisica e un dottorato in ingegneria spaziale per l’una (Francesca Esposito), laurea in fisica e dottorato in Astronomia l’altra (Maria Cristina De Sanctis), ma nessuna delle due sembra rispondere al classico stereotipo dello scienziato, chino sui libri o intento a risolvere complicate equazioni.
Entrambe vi occupate dello sviluppo di strumenti per missioni spaziali, nell’ambito della missione ExoMars siete P.I. di due di tali strumenti, rispettivamente DREAMS e MA_MISS: quanto è importante per l’elaborazione di un prototipo la manualità nel vostro lavoro? Insomma, vi sporcate anche le mani?
«Gli strumenti da noi guidati hanno sempre delle controparti in laboratorio. Si tratta a volte di prototipi che ci permettono di valutare se lo strumento ipotizzato ha effettivamente le capacità che ci si aspetta, altre volte di vere e proprie copie, utilizzate per valutare le performance degli strumenti da volo o come strumenti di laboratorio essi stessi. In quanto a risolvere complicate equazioni, io ho anche un forte interesse in modelli evolutivi e predittivi che si basano sulla soluzione di tali equazioni…quindi forse in realtà rientro nello stereotipo di cui sopra».
Quanto conta la curiosità nella scienza? È un’inclinazione che avevate già da bambine quella che ha trasformato quella curiosità nel desiderio di contribuire a comprendere i misteri dell’universo? Francesca da bambina già si interrogava magari sull’origine polvere domestica e poi è passata al sistema solare? Maria Cristina prima di interrogarsi su come analizzare la composizione di pianeti e comete si chiedeva come fossero composte le mattonelle di casa?
«Sono sempre stata molto curiosa di conoscere vari aspetti della scienza, ma non in termini prettamente tecnici o ingegneristici, quanto in termini di conoscenza dell’origine ed evoluzione dei fenomeni naturali. La fisica ed in particolare l’astronomia mi hanno sempre interessato…ma certo non le mattonelle di casa».
Potete dirci un libro e un film che amate particolarmente e una passione che avete oltre l’astrofisica?
«Libri… molti. Difficile sceglierne uno solo: dai classici russi ai contemporanei giapponesi. Ad esempio leggo Murakami sempre con piacere. Per i film la scelta è più difficile».
Entrambe siete P.I. in due importanti progetti, una grande soddisfazione certo, ma anche una grande responsabilità, che comporta la necessità di coordinare gruppi di lavoro composti da scienziati di rilievo e di differenti nazionalità. C’è – e se sì qual è – un valore aggiunto nell’essere donna?
«Credo che le donne siano più collaborative degli uomini ed a volte sono dotate di più “buon senso”, ma è difficile generalizzare. Ci si muove in un ambiente prevalentemente maschile nel quale essere donna a volte, più che un valore aggiunto, è piuttosto uno svantaggio».
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