COLPA DEI QUASAR

Il vento che frena la formazione stellare

Circa 11 milardi di anni fa il ritmo a cui le stelle nascevano nell’universo è rallentato, ma perché? Lo studio di un team di ricerca della Johns Hopkins sembra aver trovato la soluzione al mistero: il colpevole è il vento di materia, anzi, i quasar che lo emettono

     24/03/2016
Impressione d'artista del vento di materia che proviene da un quasar, visibile ai margini di un buco nero supermassiccio. Tali venti rallenterebbero il processo di formazione stellare, impedendo alle nubi di gas e polveri di raffreddarsi ed addensarsi. Crediti: Johns Hopkins

Impressione d’artista del vento di materia che proviene da un quasar, visibile ai margini di un buco nero supermassiccio. Tali venti rallenterebbero il processo di formazione stellare, impedendo alle nubi di gas e polveri di raffreddarsi ed addensarsi. Crediti: Johns Hopkins

Circa 11 miliardi di anni fa il ritmo a cui le stelle nascevano nell’universo è rallentato, ma perché? Lo studio di un team di ricerca della Johns Hopkins sembra aver trovato la soluzione al mistero: il colpevole è il vento di materia, anzi, i quasar che lo emettono.

Lo studio è stato pubblicato su Monthly Notices della Royal Astronomical Society e l’ipotesi che viene sostenuta è che il vento di materia emesso dai quasar – oggetti la cui grande luminosità è dovuta all’attrito causato da gas e polveri che cadono in un buco nero supermassiccio, che origina un disco di accrescimento convertendo circa la metà della massa di un oggetto in energia – abbia un ruolo fondamentale nel rallentamento subito dal tasso di formazione stellare in quell’epoca distante.

Le intense radiazioni e i getti di materia (outflows) ad altissima velocità che fuoriescono dai quasar sarebbero infatti andati a impattare in modo determinante sulle nubi di gas e polveri presenti nelle galassie ospiti, impedendo loro di compattarsi e raffreddarsi, per andare a dar luogo ad ammassi più densi, magari innescando fenomeni di formazione stellare.

Proprio nei giorni scorsi avevamo parlato su Media INAF di questi venti di materia e del loro ruolo nell’interazione tra buchi neri supermassicci e della loro galassia ospite con Mauro Dadina, ricercatore all’INAF IASF di Bologna, che ci aveva detto come essi fossero certamente coinvolti in un meccanismo di autoregolamentazione alla base della coevoluzione di galassie e i buchi neri supermassicci, e di come le prove di questo meccanismo siano state osservate nell’universo vicino, ma non in quello più giovane, quando le galassie e i buchi neri supermassicci si stavano ancora formando.

Lo studio del team della John Hopkins sembra arrivare con una tempistica perfetta a mettere un ulteriore tassello alla nostra comprensione del fenomeno. Tobias Marriage, assistant professor presso il dipartimento di fisica e astronomia della  Henry A. Rowland University dice infatti che «quelle effettuate sono le prime osservazioni sulla risposta energetica dei quasar quando l’universo aveva un quarto della sua attuale età, un momento nel quale era ben più vigorosa l’attività di formazione cosmica», e aggiunge, «è stato come aver trovato la pistola ancora fumante vicino al corpo del delitto, e con le impronte digitali del colpevole ben evidenti».

Le analisi sono state effettuate sull’impressionante numero di 17.468 galassie e hanno individuato una sorta di “marker” dell’energia, noto come effetto Sunyaev-Zel’dovich, che si verifica quando elettroni ad alta energia disturbano la radiazione cosmica di fondo, una sorta di eco del Big Bang di 13 miliardi e mezzo di anni fa.

L’autore principale dello studio, Devin Crichton della Johns Hopkins University, afferma che i livelli di energia termica sono stati analizzati per verificare se salissero oltre un valore considerato critico per bloccare la nascita stellare. L’intervallo osservato è stato giocoforza ampio – per poter misurare le deboli temperature alle quali si registra l’effetto Sunyaev-Zel’dovich – e la rilevazione dei dati è stata possibile mettendo a sistema due grandi telescopi da terra con un ricevitore posto su un osservatorio spaziale.

Le informazioni raccolte dallo Sloan Digital Sky Survey con il telescopio ottico di Apache Point nel New Mexico sono state utilizzate per l’individuazione dei quasar, i livelli di energia termica e le evidenze dell’effetto Sunyaev-Zel’dovich sono stati invece misurati grazie all’Atacama Cosmology Telescope, costruito con l’obiettivo di studiare la radiazione cosmica di fondo nel deserto di Atacama, nel nord del Cile. Le polveri sono state invece analizzate utilizzando i dati raccolti da SPIRE (Spectral and Photometric Imaging Receiver), strumento a bordo dell’osservatorio spaziale Herschel.

«Lo studio dell’effetto Sunyaev-Zeldovich rappresenta un nuovo approccio allo studio dei fenomeni di formazione stellare e della loro evoluzione», dice una delle coautrici dello studio, Nadia Zakamska della Johns Hopkins. «L’effetto Sunyaev-Zeldovich è infatti sensibile al vento e al plasma bollente che lo compone, altrimenti non rilevabile con altre tecniche».

Per saperne di più: