Non è sempre semplice studiare i buchi neri supermassicci, tantomeno lo è per materia oscura (che oltretutto è invisibile). Per questo i ricercatori sono costretti nella maggior parte dei casi a ricorrere a simulazioni computerizzate per unire i dati (tipo i puntini di un puzzle) e ottenere qualche risultato.
Nello specifico, un gruppo di esperti guidati da Kentaro Nagamine (Osaka University) e Isaac Shlosman (University of Kentucky) ha effettuato delle simulazioni per studiare alcuni fra gli oggetti più brillanti che si trovano ai confini dell’Universo, cioè i quasar, che si pensa contengano buchi neri dalla massa attorno a un miliardo di volte quella del Sole. Dopo le loro ricerche in laboratorio, gli studiosi hanno rivelato per la prima volta come questi buchi neri si siano formati 700 milioni di anni dopo il Big Bang.
Nagamine ha spiegato: «L’Universo primordiale era un denso agglomerato di plasma caldo ed uniforme. Con il suo raffreddarsi, fluttuazioni nella distribuzione di massa formarono i semi attorno ai quali la materia si sarebbe poi aggregata a causa della gravità». Insomma, così sono nati tutti gli oggetti che oggi conosciamo, come le stelle e i buchi neri. I ricercatori hanno lavorato a un’ipotesi innovativa: i buchi neri supermassicci sono nati da nubi di gas attratte gravitazionalmente da “buche di potenziale” create dalla materia oscura (che costituisce circa l’85% della massa dell’Universo). Per arrivare al loro risultato, gli esperti hanno fatto ricorso ad alcuni stratagemmi numerici in grado di semplificare il problema, come le cosiddette sink particles, “particelle” che crescono man mano che il gas si evolve.
I ricercatori hanno scoperto che la maggior parte delle particelle nelle loro simulazioni non sono cresciute molto, tranne che per un “seme” centrale, che è cresciuto rapidamente fino a oltre di 2 milioni di masse solari in soli 2 milioni di anni il che rappresenta un buco nero supermassiccio. Inoltre, crollando verso il buco nero, il gas ha formato due dischi di accrescimento disallineati, che non sono mai stati osservati prima.
La speranza ora è che i risultati di queste simulazioni possano venire messi alla prova dalle prossime osservazioni, in particolare quelle che verranno effettuate con il James Webb Space Telescope della NASA, il cui lancio nello spazio è atteso per il 2018.
Per saperne di più:
- Leggi lo studio “Supermassive black hole seed formation at high redshifts: long-term evolution of the direct collapse”, di Isaac Shlosman et al.
- Leggi lo studio “Observational properties of simulated galaxies in overdense and average regions at redshifts z ≃ 6–12”, di Hidenobu Yajima et al.