Parliamo con Gianluca Li Causi, ricercatore dell’INAF-IAPS, per sapere come è stata realizzata la panoramica del piano galattico nel lontano infrarosso che è stata appena rilasciata in occasione della pubblicazione del catalogo Hi-GAL (link), un progetto di osservazione ad alta risoluzione del piano della Via Lattea che copre una striscia di 4 gradi di larghezza per oltre 120 gradi di lunghezza.
Gianluca, la panoramica che avete prodotto dalle immagini del telescopio spaziale Herschel è particolarmente ricca di dettagli e molto bella da vedere, ma perché è così particolare?
La sua particolarità è duplice e risiede sia nel contenuto scientifico, poiché non era stata ancora prodotta una mappa così completa e dettagliata dell’intero piano galattico nel lontano infrarosso, sia soprattutto nella sua qualità “pittorica”, che sfrutta la suggestione cromatica per rendere immediatamente percepibili le molteplici strutture filamentose oggetto di queste osservazioni.
E perché è una novità? Il satellite Herschel non è stato costruito apposta per scattare questo tipo di foto?
Beh, non proprio. Certamente uno dei suoi compiti era quello di catturare immagini, tuttavia i suoi strumenti non potevano scattare un’unica foto dell’intera Via Lattea, come fanno per esempio gli amanti della fotografia astronomica utilizzando un obiettivo grandangolare. Infatti una foto singola di questo tipo non avrebbe la risoluzione sufficiente per studiare in dettaglio le proprietà fisiche delle nubi di materia, che era uno degli scopi fondamentali della missione.
Al contrario, i dati inviati a Terra sono costituiti da una gran quantità di piccoli “pezzetti di cielo” dai quali è stato ricomposto un mosaico dell’intera mappa, utilizzando complesse procedure matematiche di proiezione e calibrazione alle quali Eugenio Schisano e altri colleghi dell’IAPS hanno lavorato negli ultimi anni. I mosaici così preparati contengono tutte le informazioni necessarie all’indagine scientifica e in particolare alla creazione del catalogo di sorgenti compatte, che è appunto il cuore del lavoro appena pubblicato.
In effetti non sembra la stessa cosa che scattare una foto a colori con una macchina digitale…
No infatti, è molto diverso. Del resto le due fotocamere a bordo del satellite Herschel sono state progettate e realizzate con sensori adatti a catturare immagini nel lontano infrarosso, il che vuol dire che invece di scattare fotografie della luce visibile, che ha una lunghezza d’onda attorno a mezzo millesimo di millimetro (micron), osservavano il cielo a lunghezze d’onda molto più grandi, tra 70 e 500 micron. Le immagini in questa luce non mostrano la Via Lattea come una striscia piena di stelle, poiché le stelle, avendo una temperatura di migliaia di gradi, emettono la loro energia quasi esclusivamente nella luce visibile. Nel lontano infrarosso invece la Via Lattea appare come una striscia di nubi di polveri e gas, che essendo molto freddi (poche decine di gradi sopra lo zero assoluto) emettono la loro radiazione termica come luce infrarossa, mentre appaiono del tutto opache nel visibile. Nella pratica, Herschel acquisiva cinque immagini per ogni puntamento, usando le due camere a bordo e cinque filtri a banda larga selezionati per ricoprire le zone più interessanti dell’intervallo che abbiamo detto.
Perciò alla fine costruite cinque mosaici dell’intero panorama?
Esattamente. E i cinque mosaici sono quelli che gli astronomi hanno utilizzato per eseguire i loro studi sulla formazione stellare galattica. Ma per poter fornire una fotografia del piano galattico che potesse permettere anche ai profani di riconoscere con una rapida occhiata strutture come filamenti di polvere e bolle di gas. Ciò che mancava a questo punto era di mettere insieme tutti i mosaici in un’unica spettacolare immagine a colori.
Il modo classico per combinare immagini a diversa lunghezza d’onda è quello di sceglierne tre e assegnargli i tre colori base, rosso, verde e blu, in modo da ottenere un’immagine a colori dalla loro combinazione. Nel nostro caso abbiamo selezionato i mosaici ottenuti con i filtri centrati sulle lunghezze d’onda di 70, 160 e 250 micron.
Facile, no?
In teoria sì, ma nel nostro caso questa semplice operazione produrrebbe un’immagine poco chiara e con molte zone saturate a causa dell’enorme divario di luminosità, dell’ordine delle decine di migliaia di volte, tra le regioni più brillanti come il centro della Galassia e i debolissimi filamenti che tessono la trama di fondo di tutta la panoramica.
Il nostro obiettivo invece era quello di generare un’immagine ottimizzata per la percezione visiva delle differenti strutture, cosicché abbiamo sviluppato degli algoritmi in grado di modificare i colori e la luminosità per adattarli localmente alle diverse zone del piano galattico. In questo modo ricalchiamo ciò che fa l’occhio umano quando guarda una scena con forti variazioni di luminosità, come ad esempio un tramonto, o con diverse colorazioni dell’illuminazione, come quando si guarda la luce fredda della TV in un interno illuminato con luce calda. L’occhio non ha problemi ad adattarsi a queste situazioni, ma i fotografi sanno bene quanto sia difficile farlo con una macchina fotografica, tanto che anche in fotografia si utilizzano tecniche di elaborazione speciali per queste situazioni.
Quindi basta applicare queste tecniche già note?
In realtà l’algoritmo che abbiamo messo a punto è piuttosto differente da quelli usati in fotografia poiché è specializzato per le immagini di tipo astronomico. Nel nostro caso poi le difficoltà aumentano per il fatto che l’immagine da comporre è gigantesca, circa 150mila pixel per 5mila, e quindi va elaborata un pezzo alla volta, oltre al fatto che il livello di dettaglio cambia molto tra le varie bande, a causa della grande differenza tra le lunghezze d’onda selezionate tra 70 a 250 micron, cosicché la semplice combinazione dei mosaici darebbe un’immagine sfocata. Ovviamente in questo modo si ottiene un’immagine che non rappresenta più il valore corretto (fotometrico) dell’emissione di luce da ogni pixel, e che quindi non è più utilizzabile per l’analisi scientifica. Il suo scopo, infatti, è un altro: è un’immagine da cui l’occhio umano può apprezzare rapidamente tutte le informazioni in essa contenute.
E quali sono queste informazioni?
Il colore per esempio è un’informazione importantissima: le regioni più “calde”, a circa 70 gradi sopra lo zero assoluto (200 gradi sotto zero), appaiono blu, mentre il rosso indica i filamenti di polvere più fredda, che ancora non hanno iniziato a condensarsi e quindi a scaldarsi.
Un’altra informazione primaria è quella morfologica: anche ad un occhio profano appare infatti evidente la struttura filamentare della componente diffusa delle nubi, con filamenti che spesso si estendono su dimensioni che vanno oltre quelle della sigola mappa e che quindi possono essere apprezzate solo sul mosaico. E’ su queste strutture di materiale più denso che si formano preferenzialmente le stelle. Tutto questo si vede chiaramente nella porzione di panorama mostrata nella figura 1, dove è evidente come le condensazioni brillanti si sviluppino seguendo il grande filamento orizzontale.
Un altro esempio è l’immagine del centro della Galassia in figura 2, dove sul fondo celeste del gas caldo attorno al centro si staglia la sagoma gialla di un “8” orizzontale che è stato oggetto di uno studio approfondito da parte dei ricercatori del Consorzio HiGAL e che si è rivelato essere un anello di materia più fredda distorto in quella forma dalle forze gravitazionali.
Sono immagini molto suggestive, non solo per quel che mostrano ma anche dal punto di vista estetico. Perché tanta attenzione a questo aspetto?
Questa è stata una precisa scelta sin dall’inizio, per due motivi di cui sono personalmente molto convinto. Il primo è che i risultati della scienza vanno mostrati alla gente nella maniera più comprensibile possibile; l’importanza di questa comunicazione e della suggestione che è in grado di ispirare va ben oltre la notizia scientifica. Il secondo motivo, derivato dall’esperienza, è che un’efficace visualizzazione del dato scientifico è sempre alla base della sua corretta interpretazione e facilita moltissimo l’individuazione di eventuali errori di calibrazione.