Gli scienziati non sanno ancora bene come conciliare la natura “granulosa” dello spazio-tempo quantistico alla scala di Planck con la teoria della relatività ristretta. Nel tentativo di eseguire una serie di test per trovare questo complicato connubio, lo scenario finora più studiato è stato quello che implica violazioni alla cosiddetta invarianza di Lorentz, il principio che sta alla base della teoria speciale di Einstein, una caratteristica della natura per la quale le leggi della fisica che la governano sono indipendenti dall’orientamento e dalla velocità di traslazione del sistema di riferimento utilizzato per enunciarle. Tuttavia, la strada potrebbe essere un’altra: cioè salvare la relatività ristretta conciliandola con la granulosità quantistica mediante l’introduzione di deviazioni dal principio di località su piccole scale: cioè, oggetti distanti non possono avere alcuna influenza istantanea l’uno sull’altro, per cui un oggetto viene influenzato direttamente solo dalle sue immediate vicinanze. Oggi, un recente studio teorico, pubblicato su Physical Review Letters e coordinato dalla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste, analizza proprio un modello di questo tipo dimostrando che può essere testato con grande precisione. I ricercatori stanno già collaborando alla realizzazione di un esperimento che si svolgerà al LENS (European Laboratory for Non-linear Spectroscopy) di Firenze di cui alcuni membri hanno anche contribuito allo studio teorico.
La nostra attuale comprensione della gravità, sviluppata prima da Newton e poi da Einstein con la relatività generale, ci dice come le leggi della fisica operino nel macrocosmo e non nel microcosmo. Al contrario, la meccanica quantistica governa il mondo dei quanti e non spiega le interazioni degli oggetti più grandi, come i pianeti o le stelle. Quando abbiamo a che fare con la gravità su scale microscopiche, la fisica classica e la meccanica quantistica non vanno d’accordo. La fisica è come divisa in due branche, da un lato la relatività e dall’altro la meccanica quantistica: è un po’ come avere due famiglie che pur vivendo nella stessa casa non vanno d’accordo e non si parlano mai. Secondo la fisica classica, lo spazio-tempo viene considerato come un’entità continua, senza vuoti e discontinuità. Ma per alcuni modelli di gravità quantistica la trama dello spazio-tempo è invece “granulosa” su scale piccolissime, cioè al di sotto della cosiddetta scala di Planck (10-33 cm), come se si trattasse di un reticolo mutevole caratterizzato da pieni e vuoti, avente la forma di una schiuma complessa. Uno dei grandi problemi della fisica moderna è proprio capire come si passa dal regime continuo a quello discreto, man mano che le dimensioni si riducono. La domanda è: c’è un salto brusco o una transizione graduale, e dove avviene il cambiamento?
L’assenza di punti comuni fra un mondo e l’altro crea ai fisici una serie di difficoltà. Per esempio, ci si chiede: com’è possibile descrivere la gravità, ben spiegata dalla fisica classica, secondo le regole della meccanica quantistica? Quello della gravità quantistica è infatti un campo di studi dove non esistono ancora teorie definite e condivise. Esistono però degli scenari che offrono possibili interpretazioni della gravità quantistica sottoposte a vincoli di diversa natura, che aspettano di ricevere conferme o smentite non sempre possibili da ottenere. Uno dei problemi da risolvere in questo senso riguarda il fatto che se lo spazio-tempo, sotto una certa dimensione, è granulare allora significa che esiste una sorta di “scala basilare”, ossia un’unità fondamentale sotto alla quale non si può scendere. Questa ipotesi, però, non può essere inquadrata nell’ambito della teoria della relatività ristretta che descrive, secondo la fisica classica, il nostro Universo proprio alle alte energie.
Immaginiamo per un momento di avere in mano un righello. Ora, secondo la relatività ristretta, un osservatore che ci guarda mentre si muove con moto rettilineo e uniforme a velocità costante (prossima a quella della luce) vedrebbe il righello più corto di come lo vediamo noi. Ma cosa succede se il righello è lungo quanto la scala fondamentale? Ancora, secondo la relatività ristretta, per l’altro osservatore risulterebbe comunque più corto di questa unità di misura. È chiaro, quindi, che la relatività di Einstein è incompatibile con l’introduzione di una “grana basilare” dell’Universo. Dunque, ipotizzare l’esistenza di questa scala base significa violare l’invarianza di Lorentz, un principio fondamentale della relatività speciale. Ma allora, come si fa a salvare capra e cavoli? Finora, la strada preferita è stata quella di ipotizzare delle violazioni dell’invarianza di Lorentz, con dei vincoli molto precisi. Oppure si trova un modo per evitare le violazioni, individuando cioè uno scenario compatibile sia con la granularità quantistica che con la relatività ristretta.
In effetti, questo scenario viene realizzato da alcuni modelli di gravità quantistica, come la String Field Theory o la Causal Set Theory. Tuttavia, il problema aperto era come verificarne sperimentalmente le predizioni dato che gli effetti di queste teorie sono molto meno evidenti di quelli di modelli che violano la relatività speciale. Una soluzione a questa impasse è stata ora proposta da Stefano Liberati della SISSA e colleghi nel loro ultimo lavoro. «Rispettiamo l’invarianza di Lorentz, sì, ma tutto ha un prezzo, che in questo caso paghiamo con l’introduzione di effetti non-locali», commenta Liberati. Lo scenario studiato da Liberati e colleghi infatti salva la relatività ristretta ma introduce la possibilità che la fisica in un certo punto dello spazio-tempo possa essere influenzata non solo da ciò che accade nelle vicinanze di quel punto, ma anche in punti molto lontani. «Naturalmente non si viola la causalità, e non si presuppongono informazioni che viaggiano più veloci della luce», puntualizza lo scienziato. «Si introduce però la necessità di conoscere la struttura globale per sapere cosa accade nel locale».
Ma c’è un’altra cosa che rende il modello di Liberati e colleghi quasi unico, e certamente molto prezioso: è formulato in modo da poter essere testato sperimentalmente. «Per sviluppare il nostro ragionamento abbiamo collaborato gomito a gomito con i fisici sperimentali del LENS di Firenze. Stiamo infatti già lavorando alla messa a punto degli esperimenti». Con queste misurazioni Liberati e colleghi potrebbero individuare quel confine, o meglio l’intervallo di transizione, dove lo spaziotempo continuo diventa granulare e la fisica non-locale. «Al LENS si sta ora costruendo un oscillatore armonico quantistico: un chip di silicio di pochi microgrammi che portato a temperature vicine allo zero assoluto viene illuminato da un laser ed entra in oscillazione armonica», spiega ancora Liberati. «Il nostro modello teorico prevede infatti la possibilità di testare gli effetti non locali su oggetti quantistici con massa non trascurabile».
Un punto non di poca importanza: in altre parole, uno scenario teorico che spiega gli effetti quantistici senza violare la relatività ristretta implica anche che questi effetti alle nostre scale devono per forza essere molto piccoli, altrimenti li avremmo già osservati, e questo non sembra essere il caso. «Per poterli testare dobbiamo poterli osservare in qualche modo. Secondo il nostro modello è possibile vederli proprio in oggetti al ‘limite’: quantistici sì, ma di una dimensione dove sia ancora importante la massa, ossia la ‘carica’ associata alla gravità (come la carica elettrica è associata al campo elettrico)».
«Sulla base del modello proposto, abbiamo formulato delle previsioni sul modo in cui il sistema oscillerà», continua ancora Liberati. «Due previsioni, per la precisione: una funzione che descrive il sistema in assenza degli effetti non-locali e una funzione in cui sono presenti». Il modello è particolarmente robusto poiché, come spiega Liberati, la differenza nell’andamento descritto nei due casi non può essere generata da influenze ambientali sull’oscillatore. «Si tratta dunque di una situazione win-win: se non vediamo l’effetto possiamo spostare più in alto l’asticella delle energie dove cercare la transizione. In particolare, gli esperimenti già in preparazione dovrebbero essere capaci di spingere i vincoli sulla scala di non-località fino alla scala di Planck. In questo caso potremmo arrivare a escludere questi scenari con non-località. E già questo sarebbe un bel risultato, poiché daremmo una bella sfoltita alla giungla degli scenari teorici», conclude Liberati. «Se, invece, osservassimo l’effetto, beh allora confermeremmo la presenza degli effetti non-locali, salvando la relatività ristretta e aprendo le porte a tutta una nuova fisica».
Per saperne di più:
- Leggi su Physical Review Letters (o su arXiv) l’articolo “Testing Quantum Gravity Induced Nonlocality via Optomechanical Quantum Oscillators“, di Alessio Belenchia, Dionigi M. T. Benincasa, Stefano Liberati, Francesco Marin, Francesco Marino e Antonello Ortolan